L’ESERCIZIO
DEL RE NELLA
tRADIZIONE
DELLA
COMPAGNIA
DI GESù
I nn. 91-98 degli
Esercizi spirituali
di sant’Ignazio di
Loyola da Nadal
ai giorni nostri
Introduzione
Prima parte
L'esercizio del re
secondo Nadal
Seconda parte
L’esercizio del
re dal 1599 al
Vaticano II
Terza parte
L’esercizio del
re negli anni
postconciliari
L’esercizio del re
nella tradizione
della Compagnia
di Gesù
Bibliografia
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Chiara Lubich
e gli Esercizi
spirituali
di s. Ignazio
di Loyola
In compagnia
della Madre
Esercizi
spirituali
nel Magistero
e in altri
documenti
Gli Esercizi
spirituali
di s. Ignazio
di Loyola
e la spiritualità
dell'unità di
Chiara Lubich
Economia
di comunione
negli Esercizi
spirituali
di s. Ignazio
di Loyola
|
Introduzione 1
Joseph De Guibert 2
Pedro Arrupe 2
Il «Direttorio» del 1599 3
Luis de la Palma (1560-1641) 3
Antonio Ciccolini (1804-1880) 4
Antoine Denis (1818-1892) 5
Moritz Meschler (1830-1912) 6
Albert Valensin (1873-1944) 7
Henri Pinard de la Boullaye
(1874-1958) 8
Antonio Encinas (1883-1963) 9
Jean Clémence (1925-1981) 10
Introduzione
In questa seconda parte del nostro lavoro vogliamo seguire
con rinnovata attenzione la tradizione interpretativa dell’esercizio del re,
per cogliere in essa i momenti più significativi, quelli che ne fanno intravvedere
il filo d’oro. Inizieremo la nostra ricerca dal Direttorio del 1599
per giungere ai giorni nostri. Ci lasciamo guidare da Joseph de Guibert e da
Pedro Arrupe, generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983, due punti di
riferimento fondamentali nella riscoperta del carisma ignaziano.
Per De Guibert la storia della spiritualità della
Compagnia di Gesù ci insegna che gli Esercizi
spirituali sono il punto di partenza e il principio di sviluppo della
spiritualità ignaziana, poiché in essi possiamo ritrovare ciò che
dell'esperienza di sant’Ignazio è
comunicabile, insegnabile, utilizzabile da altre anime nei
loro sforzi verso la santità, ciò che può illuminarle, guidarle, sostenerle
nei diversi gradi della loro ascensione verso Dio, tutto ciò che può in
particolare dirigere la loro ricerca della volontà di Dio su di esse.
Inoltre, questa storia ci fa capire che gli Esercizi non
contengono tutta l'esperienza spirituale di sant’Ignazio e neppure tutta la
spiritualità della Compagnia di Gesù.
Per questo, bisogna aggiungere allo studio del testo
materiale quello dei molteplici apporti della tradizione vivente sull'
interpretazione del testo, il suo uso pratico e i suoi adattamenti e
arricchimenti, in
una presa di coscienza sempre più completa e più chiara,
di ciò che è il pensiero profondo di sant'Ignazio, la struttura essenziale
dei suoi Esercizi, di ciò che rende il loro valore durevole e universale,
indipendentemente da certi particolari, interessanti, preziosi sotto molti
aspetti, ma tutto sommato secondari e che si potranno perciò lasciar talora
cadere senza nulla togliere alla forza dell'insieme; indipendentemente anche
da molte idee e pratiche che potranno inserirsi in questo tutto come elemento
di varietà o anche di attualità, senza tuttavia prendere il sopravvento su
questa struttura essenziale o cambiarne l'economia.
Infine, la tradizione spirituale della Compagnia di Gesù
ci consegna gli Esercizi Spirituali non come un seme nascosto dal
quale nascerà un grande albero, ma come
l'albero già formato, con la sua fisionomia propria e che
deve solamente estendere i propri rami e moltiplicare i suoi frutti. Su
quest'albero potranno innestarsi rami nuovi presi da altri alberi, ma questi
rami non saranno presi a caso: saranno, com in ogni innesto ben riuscito, dei
getti che abbiano già la loro affinità con l'albero che vengono ad
arricchire. E' esattissima quindi la formula che vede negli Esercizi l'anima
stessa della spiritualità della Compagnia di Gesù, il principio che ne segna
l'orientamento, che ne mantiene l'unità in mezzo a tutti i suoi arricchimenti
successivi.
In una sua conferenza del 1980 al Centro Ignaziano di
Spiritualità, così Arrupe diceva a tutti i gesuiti:
Credo che né il modo de proceder (modo d'agire), né il
carisma fondamentale della Compagnia possano essere compresi e posti
pienamente in luce, se non arriviamo fino al principio di tutto: fino alla
Trinità. Nel ritorno alle fonti che ci chiede il Concilio Vaticano II la Compagnia non si può
fermare fino a che non è giunta a questo livello. Solo alla luce
dell'intimità trinitaria di Ignazio può essere compreso il carisma della
Compagnia e può essere accettato e vissuto da ogni gesuita, non perché è un
compito storico che ha la sua origine nell'intuizione, riflessione e capacità
legislativa e di ispirazione di un uomo, anche se è un genio, ma perché, per
un disegno della Provvidenza che deve riempirci a un tempo di umiltà e
fedeltà, sappiamo che è una vocazione ispirata dalla contemplazione dei più
alti misteri.
Vogliamo quindi svolgere la nostra ricerca tenendo
presente due criteri fondamentali: il posto che gli Esercizi Spirituali hanno
nella spiritualità della Compagnia di Gesù e l'ispirazione trinitaria del
carisma ignaziano.
Il Direttorio
fu pubblicato nel 1599 dopo la revisione fatta secondo le osservazioni delle
diverse province gesuitiche. È un testo quindi che raccoglie in sintesi le
indicazioni su come fare e dare gli Esercizi nel XVI secolo. Esso presenta
l’esercizio del re in un orizzonte trinitario: Gesù Cristo è il Figlio che
realizza l'opera del Padre e che chiama tutti gli uomini «in societatem» a
partecipare di quest'opera, ognuno secondo il suo grado.
Primum Exercitium secundae hebdomada quid sit.
Primum Exercitium in hac secunda Hebdomada, est de Regno Christi, quod tamen
non computatur inter meditationes, quia prima est de Incarnatione Domini. Est
igitur quasi fundamentum quoddam, aut proemium totius huius tractatus, et
summa ac compendium vitae et operum Christi Domini, in eo negotio, quod ei
commiserat Pater, de quo Isaias: Opus illius coram eo [Is. 62,11]. Et ipse
Dominus: Opus quod dedisti mihi, ut facerem [Gv. 17,4]. Et statim addit
quidnam id esset: Clarificavi te super terram [Gv. 17,4]: Manifestavi nomen
tuum hominibus [Gv. 17,6]. Vocat autem omnes homines in societatem tanti et
tam gloriosi operis, unumquemque iuxta suum gradum. Ex quo iam
incipitapparere diversitas graduum in imitatione Christi.
Il re eterno, allora, non è solo Signore e Salvatore, ma
Figlio. Infatti la sua opera è quella di glorificare il Padre sulla terra e
manifestare il suo nome agli uomini (Gv. 14,6), affinché essi, una volta
chiamati, si associno ad essa. Rispondere positivamente all'invito del
Figlio, significa, quindi, cercare la volontà di Dio all'interno della
dinamica di relazione Padre-Figlio.
Luis
de La Palma
(1560-1641)
Il XVII secolo è per la Compagnia di Gesù il
tempo in cui il suo carisma si ordina e, potremmo dire, si incarna
progressivamente in istituzioni stabili. Essa si concentra sulla fedeltà
della pratica religiosa e sulla povertà della vita comune, sull'esecuzione e
sull'osservanza, sull'orazione e sullo spirito proprio della vocazione
gesuitica da conservare e sviluppare. Così, aumentano considerevolmente anche
le pubblicazioni sugli Esercizi Spirituali. Molto interessante e originale è
la riflessione di La Palma
sull'imitazione di Gesù Cristo come imitazione di Gesù crocifisso. Infatti
conviene
presuponer que esta que llamamos via iluminativa, no es otro cosa sino camino
de paciencia, ejercicio de padecer, imitacion de Jesucristo crucificado, y el
camino real de la santa cruz.
E ancora
que cierto no está nuestro merecimiento,
ni la perfeccion de nuestro estado en muchas consolaciones y suavidades, mas
en sufrir grandes pesadumbres y tribulaciones. Porque si alguna cosa fuere
mejor y mas útil para la salud de los hombres, que sufrir adversidades, por
cierto Cristo nuestro Señor la hubiera enseñado por palabra y ejemplo: mas él
manifiestamente amonesta á sus discípulos y á todos los que desean seguirle,
que llevan la cruz, y dice: Si alguno quisiere venir en pos de mí, niéguese á
sí mismo, y tome su cruz, y sígame. Así que leidas y bien escudriñadas todas
las cosas, sea esta la postrera conclusion: Que por muchas tribulaciones nos
conviene entrar en el reino de Dios.
Alla luce di Gesù crocifisso, cinque sono i passi da fare
per cercare di partecipare alla via della croce e riviverla: decidersi in
modo generale di imitare Gesù e di obbedire alla sua volontà, impegnarsi
nell'imitazione spirituale-affettiva di Gesù crocifisso, chiedere solo la
consolazione spirituale nella imitazione effettiva, imitare Gesù che nell'abbandono
non chiede neppure la consolazione e confermarsi nella decisione vivendo
sempre come inchiodati sulla croce:
El primero es en general la
determinacion de imitar á Jesucristo y obedecer á su llamamiento. El segundo,
esta imitacion de Jesucristo la determina á la imitacoin de su cruz, quanto
al afecto, quitando el amor de la hacienda y de la honora mundana, y
poniéndole en la pobreza y deshonras de Jesucristo. El tercero pasa mas
adelante, á querer imitar esta cruz, cuanto al efecto, en la pobreza actual,
y en las deshonras efectivamente padecidas. Y porque al que así padece no le
queda otro alivio sino el de las consolaciones espirituales, el cuarto se
adelanta mas, á querer andar por este camino de la cruz, ora sea con muchas
visitaciones espirituales, ora sin ellas, á imitacion de aquel Señor, que
estando padeciendo en la cruz non significó la falta de consuelo que tenia en
la parte inferior de su alma, cuando dijo: Dios mio, Dios mio, ¿porque me
desamparaste? Y este Señor que así padecia estaba clavado en su cruz con
clavos, y mucho mas con su amor, sin querer bajar de ella, aunque sus
enemigos se lo pedian y le ofreian el creer en el. Y á imitacion de esto, el
quinto grado es afirmarnos en nuestras determinaciones, clavándonos con la
fuerza de nuestro propósito en nuestra cruz, sin volver jamás atrás, antes
andando siempre adelante en la via del divino servicio.
Per
La Palma,
quindi, nella contemplazione del Regno di Cristo, il Figlio per eccellenza,
al quale l'esercitante è chiamato ad associarsi, è Gesù crocifisso,
contemplato nel suo massimo dolore, l'abbandono del Padre.
Nel
commento di Ciccolini è significativa la presentazione del fine
dell'incarnazione: ristabilire nell'uomo redento la sua vera immagine, essere
figlio di Dio e fratello di Gesù e, in virtù di questa eredità, fratello di
ogni uomo e partecipe della costruzione di una sola famiglia umana:
Altrimenti
che cosa sarete al cospetto di Dio? Voi sarete come un ritratto, in cui,
tirati i primi lineamenti di un bellissimo volto, si è guastato il lavoro con
pennellate tirate a capriccio ed a sproposito da riuscirne una mostruosità ributtante.
Né avvenenza, né gran sapere, né le molte ricchezze, né il favore degli
uomini, vi basteranno agli occhi di Dio, affinché egli ponga la sua compiacenza
in voi e vi ricompensi con l'eterna felicità. Egli vi mira nel suo divino
Figlio, vi confronta con quello, vi giudica secondo la sapienza e la santità
ch'egli ama in quello. Or vedete quanto vi manca ad avere con quello una conveniente
somiglianza! Noverate le virtù che avete fin qui trascurate, le massime
stolte che avete fin qui mantenute. Proponete riforma dietro agli esempi del
Figliuolo di Dio, e chiedete, grazia da tanto [...] Ma riflettete di più come
parla espressamente di questa eterna legge del Padre celeste l'apostolo S.
Paolo. Egli dichiara che tutta l'opera della misericordiosa provvidenza di
Dio sopra le cose di quaggiù, in ordine alla salute eterna degli uomini, si
aggira nel proporzionare a ciascun uomo il mezzo di acquistare questa
conformità e somiglianza col suo divino Figliuolo: Ut sit ipse primogenitus
in multis fratribus (Rom. 8,29); quasi dicesse che mentre Dio ci previene con
amore di padre per tirarci a sé nella beatitudine del cielo, non puòvoler altro,
se non che noi formiamo tutti insieme come una sua famiglia, dov'egli
riconosca le medesime fattezze, le medesime virtù del primogenito suo
prediletto. Or che fate voi quando trascurate gli esempi di Gesù Cristo? Vi
fate degenere da quella nobile qualità in cui siete adottato come fratello di
lui, e come figlio di Dio, insieme con tutti i santi suoi imitatori. Oh
indegno veramente di pretendere alla celeste eredità!.
Vediamo così approfondirsi la dimensione trinitaria
dell’esercizio del re, poiché è alla luce del rapporto di unità tra il Padre
e il Figlio che si comprende il fine dell’incarnazione.
Il 27 dicembre 1834 Roothan, generale della Compagnia di
Gesù, scriveva ad essa una lettera Sullo
studio e sull'uso degli Esercizi. Egli si interrogava sul poco frutto
ricavato dagli Esercizi dati o fatti dai gesuiti e ne individuava la causa
nel progressivo allontanamento dal testo ignaziano. Per il padre generale non
sono più sufficienti dei surrogati che con gli Esercizi hanno in comune solo
il nome. Anzi, essi vanno abbandonati per ritornare al testo di sant'Ignazio,
quello originario, come fonte primaria.
Certamente, dopo la soppressione e il ristabilimento della
Compagnia, Roothan vive il tempo della nuova fondazione nella percezione che
tutto il corpo della Compagnia di Gesù deve riallacciarsi autenticamente al
carisma di sant'Ignazio e che per questo è di importanza capitale riprendere
in mano e riscoprire la fonte primaria dello spirito ignaziano. Nel 1835,
come segno concreto di tale urgenza, lo stesso padre generale pubblica una
nuova traduzione latina degli Esercizi. Egli rivedrà più volte il testo, fino
alla definitiva pubblicazione del 1852.
Denis è uno tra gli
autori che hanno profondamente studiato il testo ignaziano. Egli sembra
rappresentare il punto di riferimento degli autori del XIX e XX secolo.
Insieme con Roothan infatti reimposta il modo di leggere gli Esercizi Spirituali,
diventandone il paradigma metodologico e contenutistico. L'ultima parte del
commento di Denis alla meditazione del re si concentra sul n. 98, che egli
chiama oblazione:
Oblatio
illa tanti momenti est, ut verbis hoc vix dici possit: non enima simplex hic
habetur oratio, aut sanctus aliquis affectus, aut pium propositum, sed plena oblatio
sui, qua tota anima transit in Christum, ut soli Christo vivat in posterum,
eique ex amore se assimilare procuret. Atque iterum vel ex sola hac oblazione
luculentissime patet, non omnibus, sed iis tantum a quibus magna expectari
possint, sua integra Exercitia S. Ignatium destinasse. Nisi enim haec oblatio
serio, per integram sui abnegationem et traditionem facta fuerit, poterunt
quidem in secunda hebdomada, et boni affectus et bona proposita elici, sed
nequaquam magnifica illa obtinebitur in Christum transformatio, quam S.
Fundator prosequitur. Requiritur igitur hic magnanimitas; neque haec ipsa
tamen sufficit, nisi supernaturalis Spiritus Sancti gratia accedat. Sed
volentibus et orantibus, in re Deo tam honorifica, Spiritus ille certe non deerit.
Da questo punto di vista, allora, l'imitazione di Cristo
assume un senso nuovo. Se l'oblazione non è una semplice preghiera, nè un
qualche affetto santo, nè un pio proposito, ma una piena offerta di sé, nella
quale tutta l'anima opera un «transitum in Christum» ed ottiene per opera
dello Spirito Santo una «in Christum transformatio», l'imitazione del cristiano
sarà caratterizzata, allora, dalla progressiva identificazione interiore con
Cristo.
Tra i più noti autori spirituali di lingua tedesca, nel
suo commento segue molto da vicino il Direttorio
del 1599 ed ha come chiave di lettura dell’esercizio del re il concetto di
imitazione. Nel commento di Meschler all’esercizio del re ci sembra di aver
notato per la prima volta un riferimento esplicito alla Chiesa: Gesù viene
sulla terra per fondare il suo Regno divino, cioè la Chiesa, che vuole essere
fondato prima all'interno dell'uomo.
Le Sauveur esquisse son
entreprise et montre en quoi consiste son imitation. Dans ce but, il faut
pénétrer dans la vie de Jésus-Christ, considérer la fin de sa venue,
c'est-à-dire comment il est venu sur la terre fonder, pour la gloire de Dieu
et le salut des hommes, le grand Royaume divin qui n'est autre que l'Eglise;
nous verrons ensuite comment il veut que nous l'aidions à établir ce Royaume.
- Sa volonté est que nous l'établissions d'abord en nous-mêmes, qui sommes
membres de l'Eglise, parl'observation de ses enseignements, la fidélité àson
exemple, la guerre contre le péché et les passions, ensuite dans les coeurs
de tous les hommes. - Par conséquent, voici en quoi consiste l'imitation de
Notre Seigneur: combattre en soi le péché et les passions déréglées, pour
devenir un instrument du Règne de Jésus-Christ dans le coeur des autes. Dans
ce sens, l'imitation du Sauveur est vraiment une expédition guerrière, pleine
de combats: tel est le caractère de la vie de Jésus et de celle de tous ses
sujets. - Les peines de l'expédition sont adoucies par la considération de sa
nécessité, l'assurance de la victoire, la sublimité du plan; car ce plan est
le même dont Notre Seigneur et l'Eglise et toutes les grandes âmes
poursuivent la réalisation, en accomplissant de grandes choses pour la gloire
de Dieu et le salut des hommes.
L'imitazione del Signore riguarda allora il combattimento
contro le passione disordinate nel cuore dell'uomo perché questi sia poi
strumento del Regno di Cristo, cioè della Chiesa, nel cuore degli altri. Il
Regno è cosi attuato nella Chiesa secondo diversi gradi: l'osservanza dei
comandamenti, l'osservanza dei consigli, la vita apostolica.
Lo sviluppo degli studi ignaziani intorno alla svolta
epocale del Concilio Vaticano II, e delle Congregazioni Generali XXXI e XXXII
della Compagnia di Gesù, è stato caratterizzato da una rinnovata urgenza e
necessità di rinnovamento che hanno proiettato moltissimi autori nei primi
tempi di fondazione. Da questo punto di vista alcuni di loro riprendono e
approfondiscono l’orizzonte ecclesiale dell’esercizio del re: Gesù Cristo non
si presenta solo come Uomo-Dio, ma anche come Figlio nella sua relazione alla
Chiesa (Capo-Corpo).
Valensin, per
esempio, rispettando la connessione interna degli elementi strutturali della
parabola e l'autenticità del pensiero ignaziano, presenta un commento
profondamente legato alla realtà sociale ed ecclesiale del suo tempo.
Innanzitutto egli vuole condurre l'esercitante verso un
contatto intimo con Gesù Cristo, affinché egli comprenda le esigenze della
vita cristiana e sia attratto dall'unità del corpo mistico. In esso egli sarà
associato al re eterno, attraverso l'azione redentrice e glorificatrice del
Padre, affinché nella carità diventi immagine vivente del Figlio. Valensin,
quindi, ci presenta da una parte Gesù vivente e operante oggi (Cristo-carità
che tutti e tutto unisce in sé) e dall'altra esprime la realtà fondamentale
della fede (tutti e tutto nella carità sono una sola cosa in Cristo risorto).
Il punto qualificante del commento di Valensin, a nostro
giudizio, è la lettura che egli fa del re temporale. Pur mantenendo la
parabola all'interno del quadro storico vicino a sant'Ignazio, l'autore
riesce a rendere attuale l'immagine del re-Regno. Sant'Ignazio, riflettendo
sulla situazione del suo tempo, sogna un re che sia capace di realizzare un
mondo unito non come dominatore né attraverso un'azione imperialista, ma come
un re umile e liberale, cioè come un uomo scelto e inviato da Dio.
Ciò che il nostro autore vede espressa nella prima parte
dell'esercizio è quell'aspirazione all'unità che attraversa come desiderio e
nostalgia l'epoca di sant'Ignazio e giunge altrettanto forte e urgente fino
al XX secolo. Il re temporale sarebbe allora la cristallizzazione di un
sogno, il frutto di una esperienza da leggere non come elaborazione della
fantasia di sant'Ignazio, ma come il modo in cui egli, per ispirazione dello
Spirito, legge la storia dell'umanità, il modo in cui sant'Ignazio propone
all'esercitante di leggere oggi i segni nel tempo.
Il re temporale sarebbe allora l'immagine dell'uomo che cerca
di costruire un mondo unito e che sperimenta il proprio fallimento quando
vuole realizzare quell'unità con i soli mezzi politici ed economici; il re
eterno sarebbe, invece, l'immagine di quell'unità che solo in Gesù Cristo
morto e risorto è già realizzata, in quanto dono del Padre a tutti gli uomini
di buona volontà, in quanto progetto di vita non ancora attuato eppure
possibile:
Ainsi la
vocatio regis temporalis dont il était question, est comme la cristallisation
d'un rêve et le fruit d'une expérience. Nous pourrions refaire ce rêve, mamis il
faudrait le colorer des idées de notre temps. Ce ne serait pas un vain jeu de
l'imagination. Ce serait exercice utile, qui pourrait éventuellement nous
aider à pénétrer l'une des plus emouvantes réalités de l'histoire
contemporaine. Car, aujourd'hui
plus qu'hier, le hommes ont la nostalgie de l'unité. Aussi élaborent-ils
toutes sortes de plans pour substituer à l'anarchie présente l'unité vers
laquelle les porte une des plus profondes aspirations de l'humanité: plans
économiques et plans politiques. Mais cette unité se dérobe sans cesse à l'effort des hommes. Et, dans
l'ordre économique et politique, elle paraît, de moins en moins réalisable, à
mesure que s'exaspèrent les conflits des intérêts individuels et des égoismes
nationaux. Cependant, dans l'ordre religieux, voici que l'unité se réalise:
c'est celle du Royaume de Dieu, ouvert à toutes les âmes de bonne volonté,qui
se groupent autour du divin Roi, l'élu du Père céleste, Notre Seigneur
Jésus-Christ.
Questo progetto di vita ha un obiettivo da raggiungere: la
realizzazione del regno di Dio nella giustizia e nella pace, come frutti che
vengono dall'unione con Cristo (Gv. 14,17) e che in lui i cristiani già realizzano
(1 Cor. 1,30) nel vincolo della carità (Col. 3,15). Questo modo di vivere è
una via divina (Gv. 10,10) ed è per tutti gli uomini, senza distinzione di
razza e vocazione, è messaggio di salvezza (Mt. 28,19).
In Valensin, quindi, troviamo la formulazione attuale del
progetto del re eterno, così come nel XX secolo lo Spirito Santo sembra farlo
comprendere: l'unità della famiglia umana, come nostalgia e ricerca
dell'uomo, come progetto divino già donato e responsabilmente da portare a
compimento.
Se Valensin aveva intuito i segni dei tempi nuovi, nel
commento di Pinard de la
Boullaye si riscontrano i segni di un nuovo movimento di
riflessione sul testo degli Esercizi. Due sono gli aspetti su cui egli ferma la
sua attenzione: l'immagine di Cristo re e la forma parabolica del testo.
Riflettendo su di essi, il nostro autore chiama “mistica
del servizio” il modo in cui sant’Ignazio vive il rapporto con la Trinità e individua,
poi, il criterio fondamentale alla luce del quale interpretare e adattare
l’esercizio del re: il progetto divino di salvezza universale.
Secondo il nostro autore Gesù Cristo può essere presentato
in questo esercizio a seconda della immagine-titolo che meglio si adatta alla
situazione dell'esercitante. Egli cerca cioè di superare l'apparente
assolutezza dell'immagine di Cristo re, non riferendosi direttamente al
problema dell’applicazione, ma interrogandosi sul senso e l'utilità
dell'immagine parabolica: l'immagine del re ha un senso, perché riesce ad
associare strettamente da una parte le dimensioni del servizio e
dell'imitazione, dall'altra quella dell'intimità affettiva e della comunità
di vita tra il re e i più generosi.
Ma è utile per Pinard l'immagine di un re militare? Le
considerazioni storiche sulla mentalità cavalleresca di sant’Ignazio non lo
convincono del tutto. Sant’Ignazio stesso avrebbe potuto cambiare quella
immagine e non l'ha fatto; forse, per decidere di mantenerla, deve averne
sperimentato la forza: se gli Esercizi sono un metodo e una disciplina per
l'elezione di una vita generosa, radicale e totalitaria, l'immagine del re,
quando viene presentata, si rivela la più adatta a scuotere i cuori generosi
di apostoli, i “compagni di Gesù”, e a condurli verso l'abnegazione di sé.
Non solo, essa esprime più di ogni altra quel rapporto di sant’Ignazio con la Trinità che viene
chiamata “mistica del servizio”:
Or, à ce
stade, l'image du Roi Eternel, désireux de conquérir la terre entière et
appelant des volontaires à 'le suivre', c'est-à-dire à partager sa compagnie,
ses travaux, ses épreuves, finalement les fruits de sa victoire, est plus
apte que toute autre à séduire des coeurs généreux, plus apte aussi à leur
faire accepter intégralement la discipline chrétienne [...] Il y a donc lieu
de la croire: l'expérience que le saint avait acquise, endonnant ses
Exercices, et l'influence surnaturelle de la grâce, si ardemment implorée par
lui en toutes ses initiatives, ont dû lui suggérer de conserver telle quelle
l'image du Roi conquérant. Non seulement elle avait suscité son premier
enthousiame et continuait à le soutenir, mais il avait constaté à quel point
elle suscitait et soutenait celui de véritables apôtres, soit en sa
Compagnie, soit ailleurs. A la même influence de la grâce doivent être
attribués, semblet-il, les deux traits que voici: son insistance sur
l'abnégation, son appel à l'amour de l'Homme-Dieu.
In conclusione, per Pinard si può ammettere l'adattamento
dell’esercizio del re a condizione, però, che si tenga ben presente il
progetto divino che regola l'economia salvifica presente: il Padre manda il
Figlio sulla terra non soltanto per espiare il peccato, non soltanto per
essere il modello di tutti i figli adottivi, ma perché l'attrazione della sua
Persona faccia desiderare in loro, almeno per amore, l'imitazione più stretta
e i sacrifici più dolorosi. Questa comprensione del progetto divino è,
quindi, l'idea centrale dell'esercizio del Regno.
Encinas, ancora, interpretando l’esercizio del re alla
luce del vangelo di Giovanni, considera la chiamata personale all’interno di
un orizzonte ecclesiale: il cristiano è chiamato ad essere una cosa sola con
Cristo, come questi lo è con il Padre, e ad essere membro del Corpo di Cristo
cioè della Chiesa.
Quando il nostro autore, infatti, parla della santità di
Gesù, presenta il modo in cui egli vuole comunicare a ciascun uomo la sua
santità infinita:
Quitándome los pecados;
infundiéndome su propia vida de gracia; acrecentándomela de muchos modos y
haciéndome uno con El. «Ego in eis
et Tu in me ut sint consummati in unum» (Gv. 17,23).
La santità dell'uomo consiste nel “consumarsi in unità”
con Gesù ad immagine del rapporto trinitario Padre-Figlio.
Encinas, poi,
spiega il termine «con migo», attraverso tre significati della preposizione
“con”: 1) al suo fianco; 2) in collaborazione con lui; 3) «como miembro de Cristo, incorporado en
El, movido consiguientemente por El, con un trabajo quel el mismo es suyo y
mío».
Questa
unità tra l'esercitante e Gesù Cristo continua anche nella pena:
Sufriendo yo los sufrimientos
suyos, que son en realidad míos porque El es mi cabeza; y sufriendo El los
sufrimientos míos, pues son en realidad suyos porque yo soy miembro suyo.
Nella
gloria, infine, questa unità fa scoprire all'esercitante che l'essere una
cosa sola con Cristo è la sua dignità originaria, il senso più profondo della
sua vita:
En esto está mi dignación:
que me he hecho uno con El. Este fué el plan del Rey Eternal al sonar el
clarín de guerra y llamarnos a la lucha: no entrar El solo triunfante en el
cielo, sino con nosotros, triunfantes con El.
Il nostro autore fa esplicito riferimento al comandamento
nuovo di Gesù come chiave di lettura dell’esercizio del re.
Pas de
meilleure formule pout exprimer le contenu réel de l’appel du Roi éternel que
le commandement même de Jésus: «Comme je vour ai aimés; aimez-vous les uns le
s autres» [Gv. 15,12], dont saint Jean exprime si bien à la fois l’exigence
et l’unique motif: «Si Dieu nous a tant aimés; nous devons nous aussi nous
aimer les uns les autres» [1Gv. 4,11]. Ce n'est donc à une cause abstraite, à
un idéal, que le Christ appelle à se donner; c'est aux hommes, à tous les
hommes à sauver, qu'il s'agit de se donner avec lui et comme lui. Il n'y a de
don personnel qu'à des personnes.
Nel
comandamento nuovo di Gesù, infatti, troviamo in un'unità indissolubile sia
il riferimento all'opera di Gesù, l'amore reciproco, sia alla sua persona, il
“come”. Queste due parti del comandamento nuovo, poi, rappresentano anche le
due tappe-risposte all'interno della meditazione ignaziana.
Dans le
commandement chrétien: «Comme je vous ai aimés, aimez-vous les uns les
autres» [Gv. 15,12], sont inséparablement liées la cause et la personne: la cause,
l'amour mutuel, et la personne, Jésus-Christ, seule sorce de l'amour. Il y a
une immanence réciproque de la cause et de la personne: tout le mystère de
l'unité du Christ et de l'Eglise, qui est son corps; le Royaume de Dieu, -
rassemblement dans l'Eglise à la gloire du Père de tous les hommes, - qui est
la cause, c'est Jésus-Christ; Jésus-Christ, - unité de tous les hommes qu'il
unit en son corps qui est l'Eglise, - celui qui appelle à servir le Royaume
de Dieu, est la cause même. Mais il n'en reste pas moins vrai que la
proposition principale affirme la cuase à servir: «aimez-vous les uns les autres».
Seul le Christ peut proposer cette cause, parce qu'en dehors de lui elle ne
pourrait être ni comprise ni servie, nous allons le voir en suivant saint Ignace
jusqu'au terme de sa méditation du Règne. C'est donc bien parce qu'on croit
en Jésus-Christ qu'on se donne tout entier au service de la cause; mais, dans
la prise de conscience de toute la richesse de la foi, dans le progrès de la
foi enfant à la foi adulte, la première étape consiste à découvrir de façon
réfléchie la cause à servir, comme la seconde étape consiste à découvrir de
façon réfléchie la manière unique de Jésus-Christ, qui nous la propose, lui,
le premier et, en un sens, le seul servituer de cette cause.
Tutta la meditazione, quindi, tende a rivelare la “vita”
di Gesù Cristo:
Toute la
méditation tend à révéler la «vie» de Jèsus-Christ, c'est-à-dire sa cosécration
totale, par missiondu Père, au salut des hommes, dans les humiliations et la
pauvreté de fait; cette «vie» du Christ,à laquelle le disciple aspire à
participer, est obéissance filiale au Père, amour salvifique des hommes, humilité
et pauvreté de cœur.
Inizio
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