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Jerónimo Nadal,
Exhortationes complutense (Alcalá, 1561)

Alcune pagine in italiano antico del 1576

 

 

 

 

 

Jerónimo Nadal,
Exhortationes
complutense
(Alcalá, 1561)
MHSI,
Roma 1962,
pp. 237-329
(MHSI 90)

 

 

pdficona

pdficona

 

 

 

 

 

altre pagine

 

Giacomo Lainez,
Epistola
Patris Laynes
de P. Ignatio
(1547)

 

Juan A. Polanco,
Summarium
hispanium
de origine
et progressu
Societatis Iesu
(1547-1548)

 

Pietro Favre,
Memoriale

 

Francesco
Saverio,
Lettere e altri
documenti

 


EXHORTATIO 1a

 

[14*] Et così ha consegliato il stato di perfettione nella legge evangelica; il qual si dice stato di religione, che vuol dire fissa obbligatione di servar li comandamenti d’Iddio et della Chiesa, con perfettione consegliata da Christo nostro Signore. Et così la religion particulare contiene l’universale et christiana (altrimente sarebbe una burla et errore), et aggionge più, voglio dire, contiene quella che obliga tutti, id est, christiani, et aggionge prima consegli di Christo et dipoi obligatione a quelli et gratia spetiale, prima per recever li consegli, et dipoi per obligarsi a quelle et operar secondo quelli. Dunque questa religione è stato (per raggione delli tre voti con li quali si confirma e stabilisce quella) di acquistar la perfettione. Cusì si vede che non per esser uno religioso s’intende esser già perfetto, ma è in via d’acquistar la perfectione, perchè «septies in die cadet iustus, et resurget». Il che si può spetialmente referirse a religiosi buoni, i quali benchè gl’accada cascare in peccati et delibitarsi nella disciplina religiosa, si levano facilmente, se non vogliono mancare alla gratia della sua vocatione et stato et mezzi speciali, che il Signore gli ha dati.

 

[15*] Ma la perfettione in che consiste? Nella charità, che è il fine de tutta la legge, et nelle sue operationi; et quanto maggior charità e maggior operationi di quella, tanto maggior perfettione; et a questo fine s’indriza ancora la religion particolare che si contiene sotto questa universale christiana ch’havemo detto.

 

[15*a] Ma perchè la Chiesa chiama questo stato religione? Prima habbiamo di persuaderci et creder che la Chiesa fa saviamente; et questo animo habbiamo di adurre, prima nelle cose della sacra Scrittura, et dipoi nelle cose che hanno auctorità della Chiesa santa. Che quando si dimanda raggione, deve preceder la fede integra, il che facilita et quasi porge la intelligentia; come s’intende da Esaia propheta: «Si non credideritis, non intelligetis». Et così se lo insegna la esperientia spirituale. Supponendo donque che la Chiesa fa santamente chiamando il stato di perfettione religione, et chi la professano religiosi, che è la raggione di questo? Perchè realmente è culto divino, et quello perfetto secondo lo stato, per conseglio di Christo. Et come fortezza si dice simpliciter quella che conserva la fermeza d’animo circa le cose dificilime, et temperanza quella che conserva quella virtù circa delle cose di gran delettatione; così si dicono religiosi quelli che seguitano pel suo stato la perfettione della religion christiana; et nella sacra Scriptura quelli che seguitano alcuna perfettione o devotione nel culto divino si chiamano religiosi.

 

[15*b] Ma qual’è il sentir spirituale di questa religione? Quando l’huomo, ricevuta la spiritual vocatione, si sente spinto con devotione et gusto interiore a lasciar il mondo, abnegar la carne et propria voluntà et giuditio, et si sente pronto a seguitar con la sua croce Christo nudo et crocifisso, renuntiando ogni cosa per suo amore a maggior gloria divina.


 

[16*] Mi occorre in questo loco, per occasione del modo di parlare che habbiamo già fatto et suole usar la Compagnia, dirvi che l’uso nostro è parlar con ogni consideratione et modestia, seguitando sempre il modo di parlar della Chiesa santa catholica romana presente, et delle università e dottori di quella, perchè in diversi tempi si suole havere varie circonspectioni nel parlar delle cose sacre secondo la circonstantia, ct molte volte si hanno di explicare et dechiarare alcune loqutioni antiche; si come «Verbum assumpsit hominem, etc.». Et questo parlar cusì considerato, essendo necessario in cose di Theologia, sarà ancora necessario nelle cose della Compagnia et di oratione; nelle quali non havemo modo alcuno particolare nè estraordinario di parlare, ma parlamo delle cose nostre et della oratione secondo il comun uso di parlare practicato comunemente nella Chiesa d’Iddio.

 

[16*a] M’occorre ancora di dire una parolla del sentir nostro delle altre religioni. Et è che sentimo di tutte con ogni reverentia et devotione, et parlamo di tutte con molto honore e lode; perchè pigliando devotione ogniun’ di noi nella sua vocatione alla Compagnia, questa fa prima che non s’inclinamo a nisuna altra per pigliarla, insieme fa che le habbiamo tutte in gran riverenza et honore, predicando simil gratia alla nostra esser in tutte; de dove si seguita che non solo non preferimo la Compagnia alle altre religioni, ma la sottometemo a tutte. Et così era l’uso del P. Ignatio, che quando parlava della Compagnia, specialmente in cose de importanza, sempre la chiamava minima Compagnia. Et non solo habbiamo divotione a tutte le religioni, ma etiam questa si estende a tutti li religiosi, facendo riverenza a tutti come partecipi de così gran gratia et dono d’Iddio.

 

[17*] Ma veniamo al particolare. Dimando qual principio hebbero queste religioni o stati di perfettione, di che parliamo? - Dalla dottrina et conseglio et inspirationi d’Iddio; et Christo insegnò et consegliò alli apostoli questo stato di perfettione, consegliò et inspirò che lo pigliassero, et per quelli et per la Chiesa santa fece li medemi effetti in tutti quelli che hanno cominciato alcun ordine di religione et pigliato questo stato di viver.

Di questo modo, qualsivoglia può fare una religione? – Ansi per questo non può, se non è da Iddio inspirato.

- Bastarebbe donche per far uno nova religione, che dicesse uno esser inspirato da Iddio? - Non bastarebbe che lo dicesse. Si ben, che fusse da Iddio veramente inspirato, saria assai, perché s’intenderebbe esservi insieme, che la inspiratione dovessi esser approvata per la Chiesa santa et per il Vicario di Christo, il Papa. Altrimenti, nè la inspiratione haverebbe auctorità, nè la religion efficacia; oltra che saria adesso excomunicato chi facesse religion nova senza auctorità della Sede Apostolica, et saria ipso facto irritato quel che facesse. Et così, essendo inspirati i patriarchi delle religioni, hebbero sempre le due cose, et divina inspiratione et approvation della Chiesa santa. Il che si è visto più particolarmente nell’ordini di San Francesco et Santo Domenico; i quali Santi inspirati prima da Iddio cercarono la approbatione della Chiesa santa et Sede Apostolica, et la hebbero.

 

[18*] Vediamo già se la Compagnia è religione o stato di perfettione. Dico de sì, perchè hebbe il P. Ignatio inspiratione di far questa congregatione di questo modo e stato di viver religioso, et è stato approbato il tutto dalla Chiesa santa et Sede Apostolica, specialmente per Papa Paulo 3°, Julio 3", et etiam dalli altri Sommi Pontefici.

 

[18*a] Et perchè s’intenda sub compendio il modo della inspiratione et approbatione, fu prima chiamato da Iddio il P. Ignatio a lasciare il mondo et viver religiosamente, et ad imitation di Christo estendetesi questa gratia ad agiutar il prossimo. Fece gran penitentia, si essercitò grademente nella oratione et essercitii spirituali, peregrinò in Hierusalem, dipoi studiò, patì molte persecutioni, refferendo sempre il tutto al agiuto del prossimo.


 

Dipoi pel medesimo intento s’ingegnò in Pariggi d’acquistar alcuni compagni pel medemo effetto. Chiamò il Signore Iddio per mezzo suo et delli essercitii spirituali nostri quelli nove compagni primi.

 

[18*b] Tutti vennero in Italia, s’essercitarono nelle prime città d’ltalia et in Roma in agiutar il prossimo, dove patì il P. Ignatio una gravissima persecutione; lui principalmente, ma non solo lui, ma etiam si comprehendevano li soi compagni, per occasione che pigliarono certi cortesani romani, perchè li nostri predicavano contra un frate que predicava dottrina lutherana covertamente, ma dipoi si fugite a gl’heretici; et quelli cortesani difendevano quel frate.

 

[18*c] Da questa persecutione essendo liberati per sentenza in scriptis dal Governatore di Roma, si congregorono et trattarono dei primi capi del modo de viver della Compagnia, et così per consenso de tutti pigliò il P. Ignatio l’assonto di far la formula del viver della Compagnia et che la presentasse a Sua Santità.

 

[19*] Il che havendo fatto nostro Padre, alla prima notitia che hebbe Paulo terzo del intento et modo di viver della Compagnia disse: «Spiritus Dei est hic». Il che e lui et Giulio 3° nelle loro confirmationi e bolle hanno testificato.

Ma avanti che solennemente la confirmasse Paulo 3° (havendola confirmata già vive vocis oraculo), volse, o per prudenza et maggior confirmatione, o per le circostanze de’ tempi, che fusse essaminata la formula et petitione del N. P. Ignatio con gran essattione o vero rigore.

 

[20*] Et per ciò elesse per essaminator il cardinale Guidachione; il qual essendo iureconsulto haveva singular aversione de pluralitate de religioni, et di ciò havea scritto un libro. Questo bon cardinale fece tanta difficultà nel negotio che, sentendola N. P. Ignatio, procurò, oltra d’altre penitenze et orationi, che si cellebrassero tre mille messe, distribuite per tutti quelli che haveano il medesimo proposito che lui, o devotion a quello.

 

[21*] Cominciate le messe, et le altre devotioni, et trattando N. P. Ignatio et compagni col Guidachione, si advertì la sua mente mutarsi, in modo che venne ad esser dal tutto mutata. Et dove prima non poteva sentir li padri, gl’udiva dipoi con grande amorevolezza et benignità; dove prima si offendeva asperamente del novo instituto propostogli, lo laudava dipoi et magnificava tanto che dava causa di arrosir agli nostri. Diceva di non contradir alla sua prima openione, perchè questa non era nova religione, se non antiquissima; era quella che si desiderava nella Chiesa d’Iddio, et altre cose grande.

 

[22*] Fatta rellatione alla Santità di Paulo 3°, la confirmò solennemente, approvando la formula che gli era stata proposta. Ma con la medesima prudentia et circonspectione che volse farla essaminare per il cardinale Guidachione, confirmò ben l’instituto, ma determinò che non fussero li professi della Compagnia se non fin al numero di 60. Questo fu fatto nell’anno 1540, a 27 di settembre; come che volesse Sua Santità dar ragion non a sè, che era da Iddio persuaso come Sommo Pontifice, havendo detto «Spiritus Dei est hic» et havendola confirmata vivae vocis oraculo, ma alla Chiesa (quasi volendo col tempo che fussino le opere della Compagnia così notorie, che ogniuno fusse persuaso doversi confirmar perfettamente senza restriction veruna di numero); il che a 14 di marzo del 43 si fece.

Non però in questa seconda confirmatione hebbe la sua consumatione la Compagnia, perchè non haveva coadiutori nè spirituali nè temporali, con voti nè semplici nè solenni; benchè questi coadiutori furono dati alla Compagnia per Paulo 3° l’anno 1546, a 5 di giugno, ma con voti simplici, non havea scolari con voti.

Si giudicava esser utile che molte cose fussero più esplicate, in modo che quasi desiderava l’instituto nostro maggior perfettione et dechiaratione, et non ci restasse nè obscurità nè scrupolo nè dubitatione. Questa si fece quando nel’anno 1550, primo di Giulio 3°, alli 21 di luglio, fu pienamente confirmato il modo di viver della Compagnia che dipoi habbiamo con la gratia del Signore osservato.

 

[23*] Che vogliono dire tante confirmationi? Quello, par: che, si come il Signor Iddio havea lungamente provato il Padre della Compagnia, et quella doveva usar grandi et diuturne probationi nel suo instituto, così il Signor Iddio provedette che ella medesima si probasse varia et lungamente per la sua maggior fermezza, instruttione et satisfattione de tutti.

Perchè prima fu da contradittioni (che così gli chiamava lui) essercitato N. P. Ignatio in sua persona, per approbation della sua persona in moribus et doctrina, come conveniva a quel ch’haveva d’esser Padre della Compagnia. Dipoi che già cominciò con effetto a far dissegno di congregatione, fu essercitato et lui et li compagni, et laudati in moribus et doctriua; et fu quasi una prima approbatione della Compagnia. Dipoi, già posta in essecutione, fu essercitata per quel zeloso cardinale Guidachione et providenza di Paulo 3°, di dove uscì la prima confirmatione solenne, ma imperfetta de 60 professi. Fu dipoi in altre probationi, 2 anni e giorni 15; nacque l’approbatione del numero non già serrato di 60 professi, ma aperto di qualsivoglia numero. Poteva parer che non havessi di star in altra probatione la Compagnia, ma ci stete pure 7 anni, 4 mesi et 13 giorni; la qual probatione dette la perfettione alla confirmatione dell’anno 50 compita. Ben vedete quanto firmamente sia approbata la Compagnia per la Sede Apostolica, senza altre volte che per lettere apostolicae si monstra l’approbatione di quella, si etiam per le varie difficultà et tribuli che ha patito et superato, con l’augmento di quella, col frutto grande in ogni parte del mondo, et acception e devotion comuni.

 

[24*] Oltra di tutte queste approbationi si desiderava quella del Concilio ecumenico. Si è fatta ancora quella nel Concilio di Trento, nella sessione 25, tit. de regularibus, c. 16, non già come simpliciter necessaria, ma come simpliciter utile, et per varie raggioni opportuna et efficace; il che si dechiara nel modo che fa mentione della Compagnia il Concilio.

Recitarò le parole per mia et vostra consolatione: «Per haec tamen (dice il Concilio) sancta Synodus non intendit aliquid innovare aut prohibere, quin religio clericorum Soeietatis Iesu, iuxta pium eorum institutum a sancta Sede Apostolica approbatum, Domino et eius Ecclesiae inservire possint». Non approva simpliciter per non derrogare alla auctorità della Sede Apostolica, essendo quella maggiore che del Concilio; ma, per la observantia necessaria che doveva il concilio alla approbatione della Sede Apostolica, dichiara che per il decreto di quel capitolo non intende innovare alcuna cosa. Dove? Senza dubio nell’instituto della Compagnia et approbation di quella; nè prohibir intende che serva al Signor et a sua Chiesa la Compagnia, la quale chiama religion, chiama Compagnia di Jesù, lauda l’instituto dicendo esser pio, dà fede esser dalla santa Sede Apostolica approbato. Che ha potuto far in approbation et auctorità della Compagnia il Sacro Concilio, che non habbi fatto? Di dove havrano cessato, se alcune dubitationi restavano nelli animi d’alcuni esterni.

 

[25*] Chi donque di noi non si consolarà et animarà nell’intimo del cuor suo grandemente, vedendo la benignità et providentia d’Iddio verso la Compagnia, se considera esser cosa di sua divina mano tanto chiaramente? Non meritò far la Compagnia il P. Ignazio, sendo un cavalliere indotto et mondano. Elesselo il Signor a lui, et per lui ordinò questo pio modo di viver et religione; provòlo in capite et corpore universo, a similitudine del suo Figliolo Christo nella sua santa Chiesa; dettegli l’approbatione della Sede Apostolica et Concilio generale; hagli dato tanto frutto, tanta acceptatione, tanto augmento. Se altri molti devoti nostri vedemo con tanto fervore affectarsi alla Compagnia, che devemo far noi, che gustamo et esperimentiamo li beneficii tanti che il Signore ha comunicati alla sua Compagnia, hoc est, a noi? Perchè la Compagnia siamo noi. Vediamo donque di non esser ingrati alla nostra vocatione et gratia ricevuta, anzi con ogni humilità respondiano et cooperemo con quella, a maggior gloria di sua divina Maiestà. Amen.


 

 

ESSORTAZIONE 2A

 

[26*] Havemo veduto come s’hanno a trattar le nostre cose, et detto qualche cosa di questa gratia di religione, che così la possiamo chiamare. Andiamo avanti et diciamo più in particolare che cosa sia questa gratia et come la cognoseremo.

Religione, come già dicevamo, è un modo di proceder una via ch’Iddio discuopre et dimostra per andare alla perfettione. Vuole Iddio N. Signor esser servito non solo bene, ma etiam perfettamente; et per tal effetto dà favore et concorre con gratia spetiale, et questa è la gratia della religione (nella quale dovemo confidar), il concorso particolare, l’agiutto et gratia spetiale che dà il Signore a quelli che chiama per che lo servano in stato di perfettione.

 

[29*] Et così vole il Signor nostro che vi siano particolari religioni dove si ricerchi la perfettione dell’evangelio, dove siano particolari influssi della divina gratia. Chiama Iddio homini di queste et di quelle bande e regioni, et congregali, come dice la bolla del nostro instituto, et gli dà lo Spiritu Santo, adunando et chiamandogli per un particolare fine, per conseguir il quale gli dona mezi, et conseguentemente agiuto spetiale per puoter venir al tal fine per tal mezi.

 

[30*] Et descendendo più in particolare, gratia de religione è un auxilio et concorso speciale d’Iddio, col quale può il religioso adempire le obedienze et ordinationi della sua vocatione et far li ministerii del suo instituto et conseguire il suo fine. Questa gratia è multiplice: una è universale, qual hebbe il Padre Ignatio excelenter per instituir et dar ordine alla Compagnia et governarla; simile haveranno gli generali; la sua gli altri superiori et ogni particular vocation della [---].

Di modo che oltre a quella plenitudine di gratia che li christiani comunemente hanno, tengono i religiosi questa gratia speciale per fare li ministerii del suo instituto, per caminare alla perfettione della charità et altre virtù. A me è gran consolatione considerar questa gratia et aiuto ch’lddio N. Signore dà alli religiosi che dal canto suo s’agiuttano et cooperano. Et advertite che per questo si vi è data la gratia dal Signore, aciochè vi adoperiate et concorriate con quella a meglior et più perfettamente servir a Iddio. Avertiscano et si guardino quelli ch’hanno doni da Iddio che, se non concorrerano et coopererano, gli sarano tolti.

 

[3l*] Da quello ch’habbiamo detto si vedde che non ha onda s’insuperbire chi si vede esser religioso; perchè la gratia della religione è un dono d’Iddio. Che cosa ha adunque l’huomo da puotersene gloriar? Tutto quello che è sopranaturale è d’Iddio, et il naturale ancora esso l’ha donato. Nisuno di noi ha fatto se stesso religioso; Dio ci ha fatto. Questa gratia non e d’Ignatio; lui che puoteva? Dio mosse lui e noi ancora, et esso ci ha tratti et condotti qua.

 

[32*] Et di qua vederete come dovete stimar la vostra religione e gratia, et consolarvi in quella senza dispreggiar le altre. Chi dispreggia qualche altra religione, per il medemo caso dispreggia la sua; poichè tanto questa quanto quella è spetial gratia d’Iddio; et questo tale non cognosce che cosa sia religione. La qual gratia non si merita d’ordinario. Giovano essercitii, pie orationi et bone opere et frequentia di sacramenti; ma il principale è quando Iddio particularmente chiama, da lui è lesser uno religioso. Lui chiama questi a questo, et quelli a quel stato, a fini particolari et per particolari mezi, a maggior serviggio della sua divina Maiestà.

 

[33*] Vediamo hora per quali mezzi cognosceremo questa nostra religione. Tratterò de quatro mezzi per cognoscerla. Il primo sarà il discorso in particolar del N. P. Ignatio, il qual pigliò Iddio per mezzo di comunicar questa gratia, ei volse che fusse ministro di questa vocatione; et in lui ci ha posto un vivo essempio del nostro modo di proceder. Il 2° sarano quelli due essercitii ch’habbiamo tra li nostri, del Re temporale et delle bandiere; per li quali, come per una historia, con la gratia del Signore, si vedrà il nostro instituto. Il 3° sarà proporre il fine del nostro instituto, et li mezzi che vi sonno per conseguirlo. Il quarto proporrò alcuni altri mezzi particulari per il medesimo et: oltra di ciò li principii per li quali si governa la Compagnia, le sue parti et le case et habitationi dove i nostri risedono, li superiori, le constituzioni, etc.

 

[34*] Quanto al primo, nell’anno del 1555 mi ricordo io che sentì quando disse nostro P. Ignatio: «Tre cose ho desiderato dal nostro Signore avanti di morire: la prima veder approbata la Compagnia dalla Sede Apostolica, et il Signor nostro me l’ha datto; la seconda veder approbati li Essercitii, et il Signore già me l’ha concesso; la terza veder fatte le Constitutioni, et il Signor nostro me l’ha ancora fatto veder». Di qua raccoglievamo noi che in queste parolle si voleva dire il nostro Padre Ignatio che starebbe già pocco tempo con noi.

 

[35*] Et così un giorno io gli dissi: «Padre, li fundatori delle religioni, essendo prossimi alla morte, hanno lasciato alcuni avisi sancti per agiutto delli suoi figlioli, specialmente come il nostro Signore li ha guidati dalli loro principii per insino a che fundarono la sua religione, per maggior cognitione di quella, et per aggiuttar molto al governo di quella. Et così santo Francesco lasciò un testamento che comincia: «Cum in peccatis essem», cosa grande divotione et sostantia. Così ancora per charità facci la R. V. qualche cosa simile, risguardando l’utile che ne seguirà in questo alla Compagnia, dicendo principalmente come il Signor nostro l’ha agiutato nel suo principio et contradittioni». Rispondetemi che era occupato; et facendoli instantia, disse finalmente ch’io pigliassi doi altri compagni et raccomandasimo la cosa a Iddio, et dicessimo ogniuno 3 messe. Fecimo come disse, et gli risposi io in nome di tutti 3 che ci pareva il medesimo. Et dapoi, passati dipoi doi anni chiamò un giorno il P. Luigi González et qli disse il discorso della vita sua per insino all’anno del 1543, et il resto disse che Natale lo puotrebbe dire. Et quel Padre scrisse il tutto, del qual scritto si pigliarà qui in summa quel che sarà a proposito nostra.

 

[36*] Fu adunque così il principio. Il P. Ignatio era de Loyola, casa nobile nella provincia de Ipuscua in Spagna, et nel secolo seguitava la guerra; et in una batteria di Pamplona, d’un colpo di moschetto o d’artiglieria gli fu rotta una gamba et ferita l’altra. Fu condutto a Loyola, così mal ferito, et arrivò ad esser molto apresso a morte et abandonato dalli medici in quella infirmità. Et una sera, ch’era la vigilia di San Pietro et Sant’Paulo, dissero li medici che se quella notte non meglioravä, non haveria rimedio humano la sua vita; e alla meza notte incominciò a star meglio. Et ancor ch’io non sia amico de far miracoli delle cose, imperò parlando d’una tal persona, la quale Iddio nostro Signore elesse per fundator d’una religione, tutte queste cose mi pareno esser degne di particolare consideratione, havendo la Compagnia d’haver tali ministeri, et havendo ad esser tanto congiunta col Sommo Pontefice, successor di S. Pietro, mi par che concorsero con orationi particolari San Pietro e San Paolo a liberar il Padre Ignatio etc. Io ne prendo consolatione considerando queste cose, et mi rallegro di veder che in tal giorno il nostro Signor incominciò ad agiutar il N. P. Ignatio et megliorarlo di sanità. Et trattando di questo practice, io me n’agiuttarò ancora per haver_nel_avenir particolar devotione a questi santi Apostoli, havendo fiducia che loro m’aggiutterano, et sarano advocati de quelli che sono nella Compagnia.

 

[37*] Incominciò adunque dalhora a star meglio il N. P. Ignatio; et essendo già in convalesentia, domandò un libro de cavallerie per legger, et non vi si trovò in casa nesun libro tale, nei quali si soleva occupar; solamente si trovò una Vita Christi del Cartusiano “ et un libro di vite di santi che si chiama Flos Sanctorum in vuolgar spagnolo.


 

[38*] Era il N. P. magnanimo, pio e di nobile et generoso animo; et incominciò ad esser turbato con varii pensieri et diverse motioni, alle volte di vanità et di far cose grandi, etc., in serviggio del Re in guerra, come havea già incominciato, et valentie secularesche; altre volte imitar a Cristo et far cose grandi in serviggio d’Iddio nostro Signore, come San Francesco et San Dominico. Et repetendo più volte questi e quelli pensieri, sperimentò che li primi, ch’erano vani, lo lasciavano arido, sgustoso et di mala voglia; li secondi, ch’erano pii et devoti, con devotione, quieto et consolato. Et cosi deliberò di lassar il mondo et le vanità di quello et di servir al nostro Signore come meglio puotesse, et di far tutte le cose per la sua maggior gloria. Et questi furono gli suoi principii religiosi, di renuntiar al secolo et seguitar et servir a Cristo, et in questo servar et far sempre il meglio. Et di qua è che nelle Constitutioni, in ogni capitolo et in ogni divisione trovarete sempre «a maggior gloria et serviggio d’Iddio N. Signore».

 

[39*] Havendo dunque determinato di servir cusì a Iddio, si partì dalla patria et parenti suoi et honori, et incominciò dalla penitentia. Buon et religioso principio et conveniente al suo proposito fatto già fermamente, et gionse [---]. La sua penitentia fu estraordinaria, guidata dal animo di far in servitio di Iddio il meglio che potessi. Andòssene a Monserrate, che e in Catalonia, un celebre monastero et divotion della Madonna et frequentissimo da peregrini, molto lontano. Si vestì d’un sacco, senza berreta, con una scarpa in uno piede, perchè ancora non gli era in tutto guarita quella gamba. Dove gionto si confessò generalmente. Di notte dette gli soi vestimenti a un povero, et vestito di uno di tela grossa, vigilò quella notte con gran divotione. Et comunicato, si partì verso Manresa, una terra non lontano di Monserate, dove da vero si dette alla penitentia.

 

[40*] Digiunava tutta la settimana in pane et acqua; solamente la domenica beveva un puoco di vino. Si confessava et communicava ogni 8 giorni; battevasi con discipline cinque volte il giorno; teneva sette hore d’oratione. Stava alle hore canonicae, senteva la messa, vespere, compiete, prediche; sempre hebbe il Padre questo spirito ecclesiastico. Et, finalmente, in quel tempo il Padre fece realmente nella sua penitenza eccessi che non sono da imitare. L’eccesso suo in questo fu a noi altri regola per non errare. Imperò, descendendo alla practica, tutti quelli che siamo nella Compagnia dobbiamo haver dal canto nostro desiderii di far tanto quanto lui, et più ancora, governandosi però quanto alla essequtione per il giudicio del superiore. Doviamo fare il meglio; così il Padre per la sua penitenza ci mostrò li vivi desiderii ch’abbiamo d’havere di quella, gl’eccessi dover esser governati nelli fervori.

 

[41*] In questo tempo incominciò a fare li essercitii della prima settimana, che sono meditationi delli peccati, del giuditio etc., nelli quali si pretende dolore, contritione e lacrime delli peccati. Eccovi il primo adito, et la porta per la quale si deve intrare dal secolo alla religione, et specialmente alla Compagnia; renuntiar al mondo, proponer di imitar a Cristo, sempre facendo il meglio. Vedete ancora la prima experientia della Compagnia delli essercitii spirituali.

Dipoi venne ad intender il N. P. Ignatio che non era male mangiar qualche puoco di carne et che l’immoderata penitenza gli havea reccato notabil danno a sua salute.

 

[42*] Incominciò a meditar nella vita di Cristo N. Signore et haver devotione in quella; et subito, in quel medesimo tempo, hebbe desiderii d’agiutar il prossimo, et così lo faceva con essortationi et conversationi particolari con quelli che puoteva. Questo è il 2° grado del proceder del P. Ignatio, del quale si piglia gran doctrina del modo di proceder della Compagnia:

Primo, che le abstinentie et asperità ordinarie non sonno convenienti al nostro Instituto, il quale come sia per [---] di tanta occupatione et travalli, non potrebono durar gli nostri alle fatighe, come si experimentò nel P. Ignatio.


 

2°, esser necessario alla Compagnia non solo la meditation di peccati et essercitii di penitentia, ma insieme la meditation della vita di Cristo et delli altri mysterii della passion, resurrection etc., di dove si piglia vertù spirituale, come si intendessimo nella prima settimana delli essercitii: «penitentiam agite»; nella [2a, 3a et 4a ---] queste parti et essercitii hanno di esser nella Compagnia quotidiani et perpetui.

3°, si ha molto di notare che subito che’l P. Ignatio si dette alla meditation della vita di Cristo, si inclinò ad agiuttar al proximo, et con tanta efficacia, che non si puottè tener di metterlo in effetto; per instruir la Compagnia, che la sua oratione non ha d’esser come speculativa o di eremiti, se non pratica, cioè che ingeneri inclination et studio di aiutar il prossimo et non solo a se stesso, et a lui con desiderio; ma et a sè et il prossimo con effetto, etc. Di dove possiamo cavar che tutti i doni che rescevve uno della Compagnia nel Signor Iddio, perciò gli resceve che con quelli agiutti a sé et il prossimo.

 

[43*] Et in questo tempo accadettero al P. Ignatio cose grandi, nelle quali non mi traterrò. Dirò solo quella che, andando una volta per devotione ad una chiesa fuora la terra et apresso ad un fiume messosi a sedere, ivi gli dete il Signor nostro un conoscimento delle cose spirituali, delli misterii della fede cristiana et cose de le scienze con tanta illustratione, ut mentis occuli illi fuisse aperti viderentur ad omnem veritatem intelligendam. Hoc facile interpretari possumus, fuisse excellens donum sapientiae et intellectus. Ad hanc illustrationem referre solebat, si quando causam alicuius partis instituti ab eo quereremus. - Hoc remitto (indebat tandem) ad Manresam oppidum - ubi haec contigerant.

 

[44*] Dapoi incominciò a trattar di far una peregrinatione a Hierusalem, si come prima haveva proposto; che è un’altra esperienza o probatione di quelle della Compagnia; et questa sua peregrinatione indrizzava all’agiutto del prossimo, perchè in Hierusalem, oltre li Turchi, ci sono molte secte de christiani, Sismatici, Jacobini et Armeni, et etiam heretici. Et essendosi deliberato restarsene lì, il Guardiano del Monte Sion, che è un monasterio dell’ordine di San Francesco, non gli permesse che restasse. Et anchor che il Padre le diceva non voler altro se non che ogni otto giorni lo confessassero et comunicassero, che il viver lui se lo cercarebbe; con tutto questo disse il Guardiano che non lo lasciarebbe restar lì, et di più che lui haveva una bolla del Papa per la quale lo puoteva scomunicar, se restasse lì contra sua volontà. Et così N. P. intese che non era la voluntà d’lddio nostro Signore che lui si restasse lì, et se ne ritornò in queste bande.

 

[45*] Onde arrivato, vedendo che per quello lui desiderava molto, cioè per agiuttar li prossimi, bisognava haver lettere, per facil et sicuramente insegnare, et simpliciter per poter insegnar con auctorità ecclesiastica, che non si a chi non ha lettere, ma di questo si dirà difusamente quando si trattarà di studii: incominciò a studiare gramatica in Barcelona.

 

[46*] Dipoi doi anni, dicendoli certi dottori che già puoteva sentire le arti, vennesi qui in Alcalà, dove col desiderio ch’haveva di vedersi con sufficienza per agiuttar il prossimo, udiva insieme li termini d’Enzinas, li Physici d’Alberto, et una lettione del Mastro delle Sentenze. Quello che noi dobbiamo imitar quivi è, non l’errore nel modo di proceder nelli studii, ma il desiderio fervente che haveva di giovare al prossimo et adoperarsi in quello. Finalmente, vedendo che non lo lasciavano predicar et agiuttar il prossimo così liberamente come lui desiderava, perchè non haveva lettere nè haveva studiato theologia, se n’andò a Parigi, dove studiò un anno grammatica, et dipoi Philosophia et Theologia. Da questi studii di N. P. Ignatio hanno origini gli studi della Compagnia et [---].


 

[47*] Hebbe nelli suoi studii nostro Padre tre difficoltà. La prima, di summa povertà. Havea ricevuti di Spagna 25 ducati; deteli ad uno che glieli guardasse; et andossene via con quelli. Dapoi cercava un patrone, et non l’ha mai trovato. Et al fine, per conseglio d’un certo religioso, andava una volta l’anno in Fiandra, et domandava lemosina tra homeni richi; et con quello che di là ne portava studiava et agiutava altri. L’altra difficultà fu della sua indispositione corporale et puoca sanità, perchè nelle penitenze s’era molto guasto lo stomaco; et cosi ordinaria- mente andava infermo.

 

[48*] La terza difficultà fu della devotione; che quando era in lettione o studiava gl’occorrevano molte devotioni et concetti che lo ritiravano et distrahevano dalli studii; di modo che gli fu necessario, per non lasciar in tutto di seguimtar li studii, far voto de non lasciarli per alcuni anni. Con tutto ciò studio così bene le sue facultà, che a noi altri ci faceva meravigliare, quando trattavamo dinanci a lui alcuna difficoltà; et un dottore, persona insigne, disse, admirandosi del nostro Padre, che non havea visto homo che con tanto signoria et maestà parlasse in materia di Theologia.

 

[49*] Contro a queste tre difficoltà provedete il nostro Padre nelle Constitutioni. Per la povertà, che li collegii habbino intrate, perchè havea visto quanto impedimento era alli studii haver di cercar da mangiar. Per l’inconveniente della sanità, che si tenga gran conto di conservar la sanità di scholari et anche di tutti, ordinando che fussi superintendente della sanità, oltra l’infirmario, et habbino tutti quello che li sarà necessario, supposta la debita mortificatione et abnegatione. In quello della devotione ordinò che durante il tempo delli studii non habbino luoco le mortificationi, orationi et meditationi longhe, sia non moderate, acciò si possa conservar et trattenir la virtù et la devotione che si sarà acquistata nel tempo del novitiato, la quale etiamdio crescerà con quella mediocrità di oratione, gionti gli essercitii[---].

 

[50*] Eccovi dunche la necessità delli studii della Compagnia per predicar et essercitarsi in quelli ministerii che Iddio et la Chiesa tiene ordinati per agiutar il prossimo.

 

[51*] Eccovi il nostro Padre theologo. Li suoi desiderii furono sempre di cercar come più adoperarsi nel serviggio d’Iddio, et far sempre il meglio; et così vide che lui solo non puoteva far tanto frutto, et per questo cercò dei compagni; et così si radunorono nel principio diece, con un medesimo fine, et con voti di povertà e castità, non potendo passar avanti senza auctorità apostolica, hoc est, fare religione con voto di obedientia.

 

[52*] Intese ancora il Padre che, morti che fussero loro, si finiva ogni cosa, et non restarebbe chi conducesse più avanti l’incominciato; sì che era più conveniente al serviggio del Signor nostro che ci fusse successione. Et questo fu trattar già di religione; et tutto per agiutar più al prossimo. Et con questo principio di ricercar quello ch’era più spediente a maggior gloria d’Iddio, procurò, dopo l’approbatione della Compagnia, che s’instituissero et vi fussero in quella coadiutori spirituali et temporali, quelli per agiutar in cose spirituali la Compagnia, questi aciochè li Padri, disocupati, più attendessero a giovar al prossimo; et similmente tutte le altre cose che vi sono nella Compagnia.

 

[52*a] In questo discorso breve della vita del P. Ignatio fin alla fondatione della Compagnia, si vede un essemplar di quella. Prima, la vocatione religiosa: lasciar il mondo et seguir et imitar Cristo, seguitando la perfettione, sempre al meglio; dal medesimo principio, essercitarsi in penitentia et oratione; congionger il desiderio efficace di giovar le anime; far le altre probationi di peregrinar, insegnar la dottrina; congionger li studii per maggior frutto delle anime; cercar d’haver compagni, et procurar d’haver confirmatione dalla Sede Apostolica. Di sorte che seguitò ponto per ponto sempre il meglio et più perfetto il P. Ignatio, et in lui quasi fundò la Compagnia il Signore Iddio, et si vede la prima forma et gratia che il Signore diede alla Compagnia, s’intendono gl’essercitii et ministerii d’essa Compagnia, et che habbiamo noi di imitar fin a guadagnar sempre persone apte per la Compagnia et confirmation dell’instituto primo, principalmente se alcuna cosa si fussi alterata o paressi alla Congregation Generale potersi più perfettionar, et privilegii et gratie dalla Sede Apostolica per facilitar et far più efficaci li ministeri della Compagnia. Sia ogni cosa a maggior gloria di sua divina Maestà. Amen.

 

 

ESSORTATIONE 3A

 

[53*] Per l’intelligenza del nostro instituto dicevamo che bisognava intender la gratia ch’Iddio N. S. ci fa nella nostra vocatione; et così havemo parlato di quella et d’un mezzo conveniente per haver questa intelligenza, il qual era come Iddio N. Signore ha chiamato fin dal principio il N. P. Ignatio, et in lui ha fundato la Compagnia, et l’ha eletto per principio e ministro di questa vocatione et instituto. Hoggi diremo con la divina gratia del medesimo per altri mezzi.

 

[54*] Voglio conoscer io questo mio instituto, et veder che cosa sia la Compagnia. Fra li essercitii nostri ci è dua meditationi delle quali si può pigliar molta consolatione et animo, perchè agiutano ad intender che cosa sia la Compagnia. L’una è del Re temporale, l’altra delle due bandiere.

La Compagnia attende al profitto delle anime. Come vedete, questo è il suo instituto, questo ci insegna la vocation del P. Ignatio et nostra, le bolle apostolice et le nostre constitutioni; questo veggiamo praticarsi in ogni parte. Vediamo hora come si è venuto a questo fine che è la raggione propria della nostra vocatione, per il che ci è agiutto spetiale et particolare favore d’Iddio N. Signore.

 

[55*] A questo ci conduce la prima meditatione della quale vi dirò la somma et la sostantia. Fassi in questo essercitio una comparatione de duoi Imperatori e Monarchi che prendono un grande assunto di guerra, l’uno de quali è christiano, catholico, il quale si delibera di soggiogare il mondo all’obedienza d’lddio e de la Chiesa, ha delli vassalli i quali chiama a tal assonto, vuole lui in persona ritrovarsi in questa guerra et travagliar come tutti, e star in compagnia contro l’inimici. Quelli che l’hanno da seguire in questa impresa, hanno da imitarlo in combattere, et vivere come Lui, a l’usanza della guerra. Et per più animar li suoi, promette questo Imperatore premii a quelli che in questo modo lo seguiranno.

 

[56*] Voglio qui avertirvi d’una cosa che può agiuttare per intender le cose della meditatione, cioè che per queste cose sensibili ci guida Iddio N. Signore ad intender quelle che non si sentono, che sono spirituali. Questo Re et questa sua convocatione che fa delli vassalli, e l’impresa che piglia, e tutto quello che vi si è detto, è cosa che si vede, si sente, e si riceve molto bene con li sensi. Questo donche è una introdutione, per la quale il Signor nostro conduce gl’homini a quello che non si vede, ma si crede; perchè in quello che si vede, ha posta il Signor Iddio virtù con la quale sua divina Maestà escita la mente nostra a quello che essendo più vero che quello che si vede, non si vede tamen, acciò che non solo lo crediamo, ma etiamdio lo contempliamo con la mente et sentiamo con sensi et gusti spirituali, se non mancano a concorrer con la virtù divina che opera. Vedete forsi voi li demoni che vano qua per mezo di noi? o gl’Angeli che ci agiutino e diffendino? Vedete Iddio la cui essentia e potestà infinita sta qui tra di noi? Non la vedete voi, e pur sta qui la sua maestà onnipotente. Et questa consideratione mi move a me et m’agiuta; e se la presentia d’lddio non ci move, essendo qui tra di noi realmente, questo è perchè non ci pensiamo, e non stiamo avertiti in quello, e perchè havemo posti gl’occhi solamente nelle cose sensibili. Se li alzassimo et si guidassimo per quello che credemo e non vedemo, d’altra sorte viveressimo, d’altro modo procederessemo et conversaressimo.

 

[57*] Vedete donque come ci serve a questo la meditatione ch’abbiamo detto. A similitudine di questo Re temporale e di questa impresa, così passa e passò realmente nella Chiesa. Che pensate voi che fu venir Christo al mondo, chiamar Apostoli, e predicare, se non far gente per la conversione et salute delle anime? Venne Christo a vincer il mondo, a farlo render e subiugarlo alla obedientia del Padre Eterno: «Ego vici mnndum». Questa fu l’opera mia: vencer il mondo, il demonio, il peccato. Io l’ho vinto solo nella croce, «et non erat vir mecum». Io so il principio de tutti i vostri meriti, Io so quello da chi nasce l’efficacia e la forza vostra; evi alcuno che mi voglia seguire, che mi voglia agiutare a dar la fuga alli nemici, che già vanno disfatti e venti? «Coadiutores sumus Dei» (cosi ci chiama l’Apostolo): coadiutori d’Iddio. Che vuole Iddio? Che agiutiamo in questa sua opera della vittoria del mondo e delli altri nemici. Et a questo fine chiamò Christo gl’apostoli, et in diversi gradi et in diversi stati no ha mai cessato di far gente nella Chiesa, e di chiamar all’agiutto di cotesta impresa e chiama ancora il di d’hoggi.

Questa è la gratia della vocatione, l’agiuto particolare che dà il Signore per viver in quel stato al qual chiama. Questo è così generale et comune de tutti li stati della Chiesa. Veniamo adesso a quello che a noi è più particolare e proprio.

 

[58*] Per il medemo fine che vi ho detto, per questa medesima impresa sì grande, per la quale Iddio ha ordinato la sua Chiesa, ha chiamato ancora questa nostra Compagnia, ha fatto in questi nostri giorni questo squadrone di gente. Che pensate che sia haver Iddio chiamata la Compagnia? qual è la nostra vocatione et gratia, nella quale s’habbiamo da appoggiare et confidar in Dio nostro Signore per il compimento de nostri ministerii? È questo agiuto d’Iddio che ci dà et communica per conseguire questo fine per questi mezzi, questa è la gratia del nostro instituto e della Compagnia. Et in questo modo condusse Iddio il nostro P. Ignatio, chiamollo per questo fine, mostrolli li mezzi per conseguirlo et aiutollo con efficacia a quelli.

 

[59*] Hora, vedete, la vita dell’homo e una continua guerra et un esser sempre in campagna et nel’essercito contra li nemici. Noi combattemo e combattemo armati della gratia d’Iddio et con la sua protettione et agiutto. E di più che il modo di combatter et li mezzi per acquistar la vittoria et ci gli dà, ci li propone Lui, et c’instruisce in quelli. Sua è la virtù in Cristo con la quale combatemo. Christo è quel che combate, et noi in lui.

Grande cose fa Iddio per questo fine che è la salute et aiuto delle anime. Sapete voi qué? Che lui si è compiaciuto spargere il suo sangue nella croce e dar la propria vita per la salvatione di quelle. Risguardate l’altezza di questo fine al quale Christo ci chiama, stimatelo molto.

Questa meditatione ci doverebbe consolare et animar molto, e causar in noi un gran zelo del fine al quale il Signore ci chiamò, per il quale portò la croce e patì, et hogidì questo nostro Capitano porta la croce nel suo corpo mistico che è la Chiesa et patisce in quella et è perseguitato in quella. Guardate quello che disse Christo a Saulo: «Saule, Saule, quid me persequeris?». Et dipoi Paulo dice: «Adimpleo ea quae desunt passionum Christi, etc.». E noi altri, per li meriti della sua croce, havemo efficacia nelli nostri ministerii, et con questo agiuto l’homo è grandemente formidabile alli demonii, et a tutti gli nemici. Questo ci deve agiuttare per prender con sforzo li mezzi che sono datti alla Compagnia per cotal fine: che il nostro Capitano è Giesù, che lui ci chiama, a lui seguimo; confidandosi nell’agiutto suo che non ci ha da mancare, andiamo contra li nemici. Vedete che lui ci sforza, et anima per far li nostri ministerii.


 

[60*] Avertite una cosa in questa parte circa li mezzi che la Compagnia abbracia, la quale io son solito considerare molte volte et è a me di grande consolatione. Il N. P. Ignatio di bona memoria era huomo di gran naturale, di grande animo; et agiutato questo con la gratia di N. Signore, sempre si sforzò ad abbraciare cose grandi, e tutte le sue operationi erano fervori di charità. Et, se bene risguardate la Compagnia, il suo instituto, li suoi essercitii, tutto è una vivacità di charità, un fervore di quella, un mai star otiosa, sempre animandosi et eccitandosi all’operare per agiutto delle anime. Non vedete che siamo in guerra, siamo in campagna? Il servo de Dio non ha da esser pigro, non negligente, nè ha da star senza far niente con le mani piegate. Nella guerra sempre ci è da fare, non ha luoco l’ottiosità, non manca mai alcuna scaramucia, o alcun subito assalto, o già che non fusse tempo di combattere, sarà almeno per preparar l’arme per la battaglia. Questo passa così nella Compagnia: sempre è tempo o de trattar col prossimo, combatter contro li vitii e contro il mondo, etc.; e quando non è tempo di questo, è tempo di far oratione, studiare, e dell’altri essercitii che vedete nella Compagnia. Il che tutto è prepararsi per la guerra. Et ancora il mangiare e dormire, che sono opere indrizzate alla necessità del corpo, serveno a questo fine et si deveno indrizzar ad esso.

 

[61*] La seconda meditatione che vi ho proposto, ci dichiara l’essecution del nostro instituto. Stiamo nella guerra et l’habbiamo deliberata et publicata contra l’inimici d’Iddio. Vediamo come havemo de guerregiare. Dice il nostro essercitio quello che realmente passa. Ditemi: non pensate voi chel demonio stia nel mondo? Et Christo nostro Signore anchora? Chi guida li cattivi? Il demonio. Chi guida li buoni? Christo.

 

[62*] Tiene donque il demonio il suo stendardo, tiene gente sotto la sua insegna. Consideratelo come ve lo pone l’essercitio della nostra meditatione nel suo inferno, nel suo tormento horribile de fuoco infernale che porta con lui. Il suo seggio è in Babilonia cioè in confusione et tenebre, per ciò che dove lui comanda tutto è tenebre e confusione.

 

[63*] Risguardate dall’altra parte Christo, Capitano della Chiesa, guida delli buoni, luce aeterna, beatitudine perfetta, perfettione infinita nella sua divinità; miratelo in Cielo et nel Santissimo Sacramento, dove sta realmente. Risguardatelo in ogni banda perciochè il tutto riempie, secondo la sua divinità. Il suo seggio è in Hierusalem, nella visione della pace e della salute. Questo è il Capitano delli buoni che guida loro et li difende con sua gratia et virtù. Vuole che noi usciamo all’assalto, che corriamo alla scaramucia, che veniamo alla bataglia et tenghiamo grande animo et valore nelle forze del nostro Capitano, ch’intriamo alle battaglie contra l’inimico con la gratia et agiuto del Signore. Et advertite che bisogna che ogni dì andiamo da lui, e che da lui pigliamo il modo di guerregiare, e ci mandi lui di mano sua.

 

[64*] Non pensate voi che il demonio ha questo officio di mandare a pervertire le anime, et il miserabile va perso et senza forza. Agiutasi a danno suo e nostro il sventurato, con le sue perversa viscere, di quello ch’Iddio permette per le nostre colpe e suoi secreti iudicii. Permette Iddio in questo nostro tempo l’heresie, che è un incomparabile flagello della Chiesa, segno de grandi nostri peccati, et ch’habbiamo grandemente sdegnato la maiestà del Signore. In cotesta occasione intra il demonio come crudel nemico ferocemente et tenta gl’homini d’heresia et di qgni peccato. Manda per pervertirli homini mali, suoi membri, che sono al suo comando.

 

[65*] Christo, a l’incontro, contra il peccato, contra l’heresia, contra il mondo, manda li suoi Angeli e Santi, et manda homini ministri suoi, instrumenti della sua gratia, instruti con mezzi divini et ecclesiastici, alli quali con la sua gratia dà lui efficacia e vertù contra la potestà de nemici. Eccovi qui il nostro instituto posto in prattica, eccovi l’essequtione di quello. Chi ci instruisce, fratelli? Christo. Dove lo vedemo? Per la fede et per li suoi ministri. Lui ci agiuta ogni dì et ci guida.


 

[66*] Vediamo donque chi sono questi suoi ministri i quali lui manda per sì grande impresa et favorisce sì particolarmente. Che contrasegni hanno per cognoscerli?: l’esser superiori nostri legittimi; perchè il superiore rapresenta Christo, tiene il suo loco et auctorità. Chi è mandato da superiori, va sotto la insegna di Christo et è mandato da Christo per mezzo della obedienza, et va allegramente, con gran sicurtà e forze spirituali a far li suoi essercitii nella Compagnia. Al fine, fratelli, Christo è nostro Capitano, lui travagliò per tutti, ci mette di man sua alla battaglia, ci arma, combate con noi et noi in lui; bisogna sempre che stiamo al’erta, sempre all’arma, facciamo ricorso a nostri superiori, et da loro ci lasciamo instruire. Questo è far ricorso al stendardo, al nostro capitano Christo, e pigliar da lui ogni dì lettione come habbiamo da combattere.

 

[67*] Un altro mezzo ci è per pigliar intelligenza della Compagnia et del suo instituto, ciò è, intender il suo fine et li mezzi pel fine. Il che s’io intendo, intenderò ogni cosa. Hora incominciamo per il fine.

Iddio N. Signore muove tutti al bene, et il bene del christiano ultimo è Iddio bene infinito. Vuole Iddio N. Signore darci altro fine più proportionato a noi, che ci unisca e congionga col nostro sommo bene et fine; questo è la charità che Dio N. Signore ci dà, quella è che ci unisse con lui. La charità, che è somma virtù, e la perfettione di quella è la somma perfettione. S. Paulo chiama la charità «vinculum perfectionis». Questa virtù è molto grande e maggior delle altre virtù, etiam theologali, et abbracia il tutto e tiene somma amplitudine.

 

[68*] Hor vedete come sia il fine della Compagnia la charità, nella sua perfettione, et in tutto quello a che si stende. Da tre luoghi si raccoglie questo, ciò è, dalle bolle della confirmatione della Compagnia, dal primo capo dell’Essame e da tutte le nostre constitutioni.

 

[69*] Questo instituto nostro o modo di proceder (che così lo chiama il nostro P. Ignatio) va sempre indrizzato a cercare la maggior gloria et honore d’lddio nostro Signore; et cosi vederete che non ci è capo nelle Constitutioni dove non si repeta questo: che tutte le cose che si ordinino a maggior gloria et honor d’lddio N. Signore. Et questo fu il desiderio che nostro P. Ignatio mosse et governò sempre et il principio ch’hebbe per la fundatione della Compagnia, andar cercando sempre come più fusse glorificato Iddio, et in che cosa più fosse servita la sua aeterna bontà.

 

[70*] Nella bolla si dice che la Compagnia est potissimum instituta ad fidei deffensionem et propagationem et profectum animarum in vita et doctrina chiristiana.

 

[7l*] Nelle nostre constitutioni, nel primo capo dell’Essame si propone a tutti che: Finis huius Societatis est non solum saluti et perfectioni, propriarum animaruin cum divina gratia vacare, sed cum eadem intense in salutem et perfectionem proximorum incumbere.

 

[72*] Hor vedete li mezzi con li quali si va a questo fine, acciochè intendiate quanto abbracia questa virtù della charità, che vi ho detto esser il nostro fine. Li mezzi sono ecclesiastici, cioè, predicationi, lettioni, etc.; così dice la bolla: «per publicas praedicationes, lectiones, et aliud quodcunque verbi Dei ministerium ac spiritualia exercitia, puerorum ac rudium in Christianismo institutionem, christifidelium in confessionibus audiendis ac caeteris sacramentis adininistrandis spiritualem consolationem praecipue intendat, etc.». Et questo si noti che dice: quod potissimum instituta est Societas; et dapoi dice: «praecipue intendat». Perchè ci è più a che si estende il nostro fine e mezzi; per ciò che vi sono ancora altre opere le quali appartengono al nostro instituto, dove entrano ancora l’opere de la misericordia corporali, visitar e servir gl’hospitali e carceri, procurar la pace tra quelli che hanno inimicitie et qualunque altra opera de charità spirituale o corporale, e tutto ciò indrizzato a maggior serviggio, gloria et honore d’Iddio N. Signore; e tutto questo gratis senza alcuno stipendio, non aspettando il guidardone, se non da colui per il cui amore si fa.

 

[73*] Havete visto la perfetiione del nostro fine, et quanto alla intencione, et quanto alla extensione; alla intencione non ci è fine havendosi sempre a risguardar a maggior gloria et honor d’Iddio, sempre andar in augmento della virtù della charità; la estensione è tanta, quanto si estende la charità; gli mezzi, quanti si ponno per la humilità d’un simplice sacerdote essercitarsi. Dunque Iddio è il nostro fine, lui c’infonde la charità per unirci con esso lui; la charità ci mostra questi officii, tiene per obietto Iddio, et il prossimo per Iddio, al quale devesi il tutto referire: che il tutto sia per gloria sua.

 

[74*] Et advertite che a noi non bastarebbe questo operar per amor d’Iddio, ma con augmento a maggior gloria d’Iddio et per il maggior amor suo; perchè non dobbiamo contentarsi con manco di questo, imperochè siamo in via e non si doviamo fermare, anzi più e più inanzi caminare a maggior servitio d’Iddio, et in ogni cosa cercar la maggior gloria et lode d’Iddio. Non vi fermate, fratelli, con dire: io servo Iddio con la gratia sua; avanti vi guida la sua gratia, che questo fate con fervore, con vivo desiderio di più servir a Iddio, svegliandovi et eccitandovi ogni di più et agiutandovi a quello. Questa è cosa di grande consolatione per noi, che questo sia il nostro instituto, confirmato dalla Chiesa santa, che questa sia gratia della nostra vocatione et principio, come vi ho detto, che hebbe il nostro Padre, et dal quale fu guidato alla fondatione della Compagnia, sempre caminare dove Iddio sia più servito, come havete visto nel breve discorso della sua vita, che vi narrai nella essortatione passata.

 

[75*] Et ciò non è da meravegliarsi, che questa sia la vocatione nostra, poi che siamo religiosi et habbiamo detto che Religione è stato dove si tratta d’acquistar la perfettione, et via per andar a quella. Nella via siamo; non bisogna fermarsi. Sempre ci è più avanti dove caminiamo et dove ci sforziamo d’arrivare cercando la maggior et maggior gloria d’Iddio N. Signore. Questo è, fratelli, il nostro stato; a questo ci obligano la nostra professione et instituto; questa è la nostra meta, dove con li desiderii nostri, con li nostri fervori, agiutati dalla divina gratia, procuriamo sempre d’arrivare.

 

[76*] Imperò avertite che suoleno essere certi fervori che non sono guidati secondo la raggione spirituale, inconsiderati, inquieti, asperi, irretenti; non dimandiamo, nè volemo questi, perchè non sono utili. io dico alle volte de questi ch’hanno tali fervori: pare vogliano far bene et non lo fanno, anzi molte volte fanno danno. Non ha da esser così adunque, se non che il desiderio sia tutto buono, guidato et governato per gli suoi principii spirituali; non dovete pigliar’ assonto di cosa con la quale non puosiate reuscire; guidate li fervori vostri per la raggione spirituale, per l’obbedienza et l’altre virtù; così lo richiede il nostro instituto. La Compagnia istessa è un fervor di spirito come vi ho detto, pieno d’ogni virtù, considerato et maturo, quieto, leve et mansueto, facile et obediente; suaviter fortis, et fortiter suavis.

Non vi ricordano quelli principii ch’io proposi per li quali habbiamo ad esser sempre governati, cioè divino, ecclesiastico et delle virtù morali, et che non dobbiamo disgionger l’uno dall’altro? Non è d’Iddio il fervore (nel che molti s’inganeno) quando è contra quello che la raggione mostra et ordina, o contra alcuno delli mezzi ecclesiastici.

 

[77*] ET cusì li fervori che non vanno con suavità e mansuetudine, certi rigori ch’essasperano, certi zeli soverchi et indiscreti sono molto alieni del nostro modo di proceder. Il spirito d’Iddio è suave et con suavità guida il Signore le cose nostre, ancora nelle vehemenzie delle operationi. Se questa tua motione è d’Iddio, è gratia della nostra vocatione, chiaro è che non è tua, perchè viene non da te, se non da Iddio; et è tua, perchè tu cooperi con quella operatione divina. Il concorso d’Iddio non è alterato nè causa simili inquietudini. Noi dobbiamo concorrer con Iddio con humiltà et simplicità; questa è la dispositione che il Signore richiede in noi, et in questo modo habbiamo a trattar le cose sue.

Non vuole che il spirito nostro sia aspero, difficile, intrattabile et, finalmente, fervore senza scienza; se non che sia regulato per la regola proposta, di cercare la maggior gloria d’lddio nostro Signore, et li altri principii già detti.

Bisógnavi, fratelli, mortificare et tagliare il cattivo che mettete dal canto vostro, quello che è da voi et della vostra conditione, et voi lo volete metter a conto d’Iddio presumendo che è spirito d’Iddio quello che è spirito vostro. Non havete mai visto certi huomini de sua naturale conditione efficaci, rigidi e difficili da trattarsi, et di poi con la molta mortificatione et con la gratia del Signore nostro diventati così mansueti et trattabili, che le luoro parole penetrano et incendono senza essasperare, senza questi rigori? Simili operarii adonque dimanda la voczition nostra.

 

[78*] Habbiamo detto fin qui, che ci doviamo sempre essercitar in cercar dove più si serva la divina Maestà, et questa è la intentione et perfettione della charità. Vedete adesso la estensione del fine che ci propone il nastro instituto nella bolla della confirmatione, cioè, la deffensione della fede della Chiesa catholica hierarchica romana, et questo è il principal officio verso il prossimo, et così ci si è raccomandato primo loco. Sapeva bene il Signor nostro et vedeva questi heretici ch’al tempo nostro si sono levati, et credo e tengo per me che in gran parte contro a questi sia stata per la providentia d’Iddio Signore nostro fondata la Compagnia.

 

[78*a] Pare esser la causa, perchè essendo la maggior difficultà nella Chiesa d’Iddio defendersi dalli heretici, per la loro atrocissima oppugnatione contra la verità d’Iddio con obstinatione diabolica et infernale, ha voluto il Signor Iddio mandar soldati novi per questa guerra. Il che si confirma perciò che è l’instituto della Compagnia directamente contro gl’heretici. Perchè gl’heretici si fidano d’eloquenza vana et erudition humana multiplice, la Compagnia seguita studii et de eloquentia et tutti gl’altri, etiam humani, con humiltà et simplicità christiana exactamente. Gl’lleretici danno tal credito alli suoi heresiarchi, che la loro espositione della Scrittura et de dogmi preferiscono a tutti li dottori della Chiesa santa; nè hanno altra theologia che la contaminata per loro heretici maestri; inducono novi dogmi nella Chiesa, et sempre vanno mutando et innovando altri. Noi facciamo somma diligenza in studii di Theologia scholastica et della Scrittura, concilii, dottori ecclesiastici; et in quella seguitamo la esposition della Chiesa santa, concilii, dottori; nè si permette nova opinione, et si ordina che si seguiti la sententia comune de theologi.

 

[78*b] Gl’heretici si persuadono certa luce falsa et diabolica con la quale et gl’inganna il demonio loro, et loro ad altri. La Compagnia seguita con gran diligenza la vera illustratione della mente per oratione et essercitii spirituali et uso di virtù religiose, et con questa si sforza illustrar li suoi studii. Gl’heretici machinano sempre col suo padre Satanaso et con le sue arti pervertir con pessime arti le anime. La Compagnia, come è il suo fine, s’adopera con la gratia de Christo con ogni mezzo ecclesiastico che può competer alla humiltà di sua vocatione agiutar le anime per la sua salute e perfettione. Usano con grande diligenza gl’heretici d’insegnar li suoi diabolichi cathechismi. La Compagnia pel contrario mette molto gran diligenza d’insegnar il cathechismo catholico et santo, in tanto che esprime la obligation di questo ne i suoi voti. Abominano gl’heretici il Papa et Sede Apostolica. Noi sommamente la reverimo etiam per particular voto solenne. Levano loro la confessione al sacerdote; noi, non solo la necessità di quella insegniamo, ma la frequentia efficacemente consigliamo. Levano le religioni antiche; noi habbiamo procurato una nova et laudamo tutte le antiche. Togliono la intercessione et devotion de santi, noi la seguiamo con molta diligenza et consegliamo. Breviter, in tutti li dogmi e vita et insegnamo e vivemo al contrario di loro, et è l’instituto nostro unicamente pugnar contra la pestilente doctrina et vita d’heretici.

 

[78*c] Et vedete un segno che la Compagnia sia de Iddio dedicata specialmente contro gl’heretici, ciò che vi sarà grato odire. Nell’anno 1522 fu chiamato dal Signore a vita religiosa il P. lgnatio, et si può dire che pigliò il suo primo principio la Compagnia. Trovarete che nel medesimo tempo et etiam anno Martino Luther, homo turbulentissimo et diabolico, cominciò da proposito svergognarsi et seminar libri contra la Chiesa, il Papa et verità catholica, pestilentissimi; et questo fece di poi d’esser ritirato et nascosto alcuni mesi, dipoi che hebbe parlato a Carlo Imperatore in Vormaç nell’anno 21, nella dieta Imperiale, dipoi d’esser lui uscito dal suo diabolico secesso. Si ritirò il P. Ignatio a Manresa a penitentia, et spargendo lui quelli libri perniciosissimi, il P. lgnatio a far gl’essercitii spirituali et per quelli cominciò ad agiutar le anime, come se dicessimo: Il demonio preparava il suo servo per corruptione et perditione delle anime; Christo il suo per agiuto loro et salvatione.

 

[78*d] È un grande ministerio questo pro Ecclesia contra haereticos; et così s’ha da sperar copiosa gratia dal Signor per farlo con efficacia e frutto. È dunque grande beneficio che ha ricevuto dal Signor Iddio la Compagnia l’esser stata eletta in tempo d’heretici specialmente per diffender la fede et Chiesa santa dalla impugnatione de quelli; et così vediamo haversi servito Iddio et la Sede Apostolica dal principio della Compagnia del travaglio de nostri mandandogli con Legati Apostolici in Alemagna, et dipoi etiam in Franza, et fundandosi tanti collegii nelle parti septentrionali, Polonia, Alemania superior et inferior et in Francia, con singular frutto. Il che è ingratissimo alli heretici, che claramente dicono infiniti mali de noi, ma Iddio non gli permette che dicono male se non di quello che è summo honor nostro. Non ci oppugnano nè cridano, se non che siamo hereticissimi, perchè siamo et insegnamo con tanta constantia et efficacia contra d’essi la verità catholica et la Sede Apostolica. Et così sogliono dire: sunt boni, sunt docti, tamen sunt papistissimi. Altre volte dicono che insegnamo con arte magica, non essendo possibile che in tanto puoco tempo riescano dotti li nostri scholari. Diceva Melanchthon a Jona, un vellaco compagno di Luther, con disperatione: Heu, doctor Jona, quid facimus, totus mundus est plenus Iesuitarum. Et un principe lutherano diceva: se non fossero questi pessimi et diabolici Iesuiti, già non saria nè un papista in tutta Germania; questi sono quelli che distrugono il corso dell’Evangelio.

 

[78*e] Et come è ingratissimo alli heretici che noi siamo in Allemagna, così a tutti i catholici acceptissimo, et alla Sede Apostolica gratissimo et molto desiderato. Il che intenderete d’un fatto di Pio 4°; il che dirò brevemente. Dete questo Papa la cura del seminario Romano alla Compagnia, non cercandolo lei, anzi havendolo per gravezza. Questa fu pigliata per occasion che certi chierici romani, facendo capo d’un certo vescovo, excitarono una tragedia contra la Compagnia, dicendo che a loro perteneva il governo del seminario, non a theatini. Questi furono regietati da S. Santità; sparsero tamen mala fama di noi et questa penetrò in Alemagna. Del che essendo advertiti alcuni cardinali et S. Santità fu cosa meravigliosa et extraordinaria quanto si mossero, non puotendo patir che la buona estimation della Compagnia patisse in alguna nota in Alemagna, et sapendo il danno che se ne puotria seguire. Così con grande prestezza comandò S. Santità che si scrivessero brevi all’Imperator et altri prelati et principi catholici, nei quali si liberasi d’ogni nota la Compagnia et fusse laudata la sua doctrina et vita religiosa, et dati per calumniatori chiunque havesse sparso il contrario; et tutto questo senza nè cooperar nè saper la Compagnia, solo per amore et zelo che la Sede Apostolica ha sempre portato verso la Compagnia.

 

[78*f] Non dirò più di questo, et puotria dire molto più, et non vi maravigliate di questa mia excursitione perchè non posso dissimular il zelo dell’honor d’Iddio et salute de Todeschi contra la pestilentia d’heretici; la quale conceveti da che vidi la perditione di tante anime et exterminio d’una natione tanto grande, tan potente et tan nobile, per un sceleratissimo monacho sfratato, furioso, imbriaco, indiabolato. Non penso sia nissuno, che habbi vista tanta calamità, che non pigli il medesimo zelo, et magior chel’ mio.

[80*] È ancora la religion nostra instituita per la propagation et augmento della fede; il che s’intende particularmente nella conversione d’infideli, Indi, Turchi, mori, Giudei, et per agiutar che la fede si stenda et faccia nove piante et s’augmenti fra tutti. Mettesi questo ministerio nel secondo loco perchè è di gran difficultà e di gran necessità et frutto et conviene propriamente alla Compagnia; perciochè, essendo noi ministri universali della Chiesa et Sede Apostolica, et essendo la conversion de infideli propria della Sede Apostolica, è molto conveniente che sia questo ministerio nostro, et realmente è gran ministerio e di gran speranza, et ci dà a noi gran consolatione, che siamo chiamati a piantar nove piante nella Chiesa d’Iddio. Et fra questi infideli anche sono nationi obstinatissime, quasi non manco che heretici (come sono li giudei et gl’mahometani); più facili sono gl’idolatri, et così de questi si convertono più. È da sperar anche qui gran gratie dal Signor Iddio per adoperarsi in tan difficile ministerio et pericoloso.

 

[81*] Et in questa parte havete bene inteso quanto si sia servito il Signore delli nostri nelle Indie et Giappone, et è un frutto special della Compagnia in quelle bande, perchè essendo piante quelle nove, le podemo piantar a nostro modo, con ordine, con exposition particular della dottrina christiana, miscolando in quella, pratica divota et gusto delle cose spirituali; et di questo si ha fatto grande frutto, nominatim nel Giapon, dove gli novi [---]. Non è di bisogno ch’io mi estenda in narrar le cose delle India.

È di molta consolatione la consideratione del fruto che si coglie nelle Indie et in Alemagna onde par la Compagnia un corpo con doi ale, le quali vedo che sono li nostri che sono in queste doi bande dell’India et d’Alemagna. Più travagliano, et con magior fervor, più meritano, più servono al Signore, et si occupano di opere di gran valore, coggliono più frutto delli suoi travaglii; et con queste ale vola la Compagnia et piglia augmento per spetial gratia del Signore. Si animamo noi per di qua, vedendo il fervor, consolation, spiritu et gratia che dà il Signor a quelli tan abundanti, et desideramo esser participi di loro travagli et con oration gli agiuttiamo, et si offerimo di buon cuore a quelle missioni. Et tamen molte volte accade che per di qua si trovino le soi Indie; sonno etiam montanne et parti inculte, etc., come si voglia. Pregamo a iddio per quelli [---]

 

[82*] Di più la Compagnia è instituita, come sogionge la Formula dell’Instituto, per il profitto delle anime in doctrina et vita christiana; cioè, per instruirle nella fede et per agiutarle et essercitarle all’amor d’Iddio et a servir S. D. Maestà. Il che dichiara la Compagnia nel primo capo dell’Essame; et universalmente il fine della Compagnia è non solamente agiutar le anime proprie, ma quelle del prossimo per le quali è morto Giesù Christo, Signor nostro.

Et è realmente cosa di summa consideratione et da figger nel cuor’ nostro profundamente come Iddio è morto per le anime con incomparabil dolore et ignominia, et ci chiama noi con grande voci, cioè, con grande vocatione, con gran gratia, gran instituto, grandi ministerii, fine perfetto, con grandi affetti et sentimenti interiori, con il gran fruto che vediamo nelle anime nostre; et ci chiama acciò agiutiamo che non si perdano le anime per il suo sangue et vita recomperate. Vedete, fratelli, quanta necessità, quanta motione ci deve causar nelli cuori nostri questa consideratione. Non si può patir che si perdino le anime per le quali è Giesù Christo, Dio omnipotente, morto in Croce.

 

[83*] Et per dir al fin di questa essortatione la sostantia di quello che dice l’Essame, non è fatta la Compagnia per se sola; per questo fine non era di bisogno nova religione nè sarebbe instituita la Compagnia. La oratione et la solitudine, il cantar in choro, etc., senza mezzi altri per agiutar le anime, sono cosa propria delle religioni monastiche et d’heremiti, ma non dell’instituto nostro. Chi vuole sempre oratione, solitudine, a chi piace il ritirarsi et fugir gl’homini et non gli cercar per agiutarli, non è per la vocation nostra. Per questa tale sono Cartusiani, et sono altre religioni de monachi ch’habitano nelli loro monasterii, il cui fine et vocatione è quella.

[84*] La nostra più ci dimanda che agiutar a noi et con sola oration alli altri. La gratia della religion nostra più ci promette, a più ci agiutta. Desingannatevi, nissuno pensi che nella Compagnia l’agiuti Iddio per noi solamente, et che per noi soli gli dia la gratia, virtù et altri doni spirituali. Dali il Signor nostro questo per il fine del nostro instituto, cioè, per l’agiutto delle anime. Le lettere, industria, virtù, il talento di predicare, confessare, dare l’essercitii, conversare, legere et altre gratie d’Iddio nostro Signore, et qualsivoglia gratia et ministerio, etiam de coadiutori temporali, dà Iddio per agiuttar le anime; perchè etiam questi agiutano come ponno con orationi et colloquii, et fano che li Padri siano liberi per agiutare. Nisuno donque si può retirare nè pensare che qualsivoglia gratia che habbi et opera che fa non sii finalmente per agiutar le anime et non deba a quel fine referirle; non sono per voi solo. Per questo fine, che è il fine della vocatione, ci sono date. Et se a noi soli le restringiaremo, prima mancaremo al nostro instituto et debito della vocation nostra, et poi non ci augmentarà gli doni et gratie che il Signore dona alla Compagnia, et anche perderemo quelle che habbiamo ricevute. Et cosi si vede alla esperientia: chi sono fervorosi per agiutar le anime per desiderii et orationi, et con questo si adoperano gli ministerii della Compagnia ad agiuttarle, questi crescono in virtù, perfectione et allegrezza spirituale; pel’ contrario, chi non fanno cosi, vano tiepidi et con puoco frutto. Doviamo donque congiongere l’un fine all’altro, cioè, il profitto nostro a quello del prossimo; che questi duoi officii nostri mai siano disgionti nè disuniti tra sè.

 

[85*] Vedete il modo di proceder della Compagnia, et cosi intenderete questo: Io sto in casa un puoco et lì m’agiutto nell’oratione, nella confessione, nella messa et nelli altri buoni essercitii che vi sono nella Compagnia. Ivi m’armo per uscir’ a combater contro li demoni et vitii. Vado fuora con questo per parlare ad un scholare, per confessar’, per predicar’, per qualunque altro ministerio, de quelli ch’habbiamo proposto, ordinato per il profitto delle anime. In questo ministerio procurarò di far profitto, d’agiutar colui et moverlo all’amor’ del Signore et all’emendatione della vita sua. Et facendo questo per la gloria d’Iddio, con l’agiuto et gratia sua che ce la darà, poichè travagliamo nell’officio et debito nostro, facciamo una opera della nostra vocatione, opera de gran charità, de gran merito. Et con questo venemo più disposti; perchè, havendo travagliato nel servitio del Signore, quando io vengo all’oratione et alli altri essercitii che ho per il mio profitto, mi agiuttarò et profittarò più. Et di questo mio maggior profitto, nasce dipoi adoperarmi con più zelo, con più pura intentione della maggior gloria d’Iddio nostro Signore, con maggior charità, con più fruto delle anime. Il simile si può dire delli scholari che si fortificano con le orationi et sacramenti et santa dtrectione et intentione delli studii al fine della Compagnia mediante l’obedientia; et da qui procedono alli studii, da quali tornano alle orationi, etc. Così li coadiutori, dalla oratione alli ministerii; così i novitii, ogniuno nel suo modo, etc.

Questo è il circolo ch’io son solito dire esser nelli ministerii della Compagnia. Che, per quello che voi havete fatto col prossimo et servito a Dio in quel ministerio et in qualsivoglia ufficio vostro, Dio poi vi agiuta più nella vostra oratione et nelle altre occupationi che havete per agiuttar a voi; et questo maggior agiutto che avete qui, fa che dipoi con miglior animo et con maggior profitto vi occupiate col prossimo nelli vostri officii. Di modo che l’uno essercitio vicissim agiuta l’altro, et con questo in ogni cosa si camina avanti di bene in meglio nel profitto delle virtù, nel serviggio divino et nel cercar ogni dì più la maggior gloria della eterna bontà, che è il fine della nostra vocatione et instituto. Il Signore ci dia gratia per farlo. Amen.

 

 

 

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