Insieme con la Comunità di Vita Cristiana (CVX) di
Reggio Calabria, negli anni 1997-2001 ho partecipato, su mandato dei Gesuiti
d’Italia, al progetto della «Grotta del Pater». Dove trovare un criterio per
ordinare l’economia di un progetto apostolico? Nella settima regola sulle
elemosine degli Esercizi
spirituali (n. 344) abbiamo trovato questo criterio che ha
illuminato l’aspetto economico del progetto e la nostra vita personale. Un
prezioso contributo alla nostra ricerca è venuto dall’esperienza dell’Economia di comunione
proposta dal Movimento dei Focolari.
Il senso della condivisione di beni
Innanzitutto ci
siamo domandati: qual è il senso della
condivisione del nostro denaro per sostenere la «Grotta del Pater»?
Ci rendiamo sempre più conto che la «Grotta del Pater» ha
innanzitutto bisogno di noi, gesuiti e laici cvx,
del nostro amore, della comunione che riusciremo a realizzare tra noi.
Potremmo infatti «distribuire tutte le nostre sostanze e dare il nostro corpo
per esser bruciato, ma, se non avessimo la carità, non saremmo nulla» (1Cor
13,3).
Siamo consapevoli che la condivisione del nostro denaro
deve essere espressione della nostra comunione spirituale. Crescere nella
responsabilità significa non soltanto dare dei soldi per sostenere
economicamente la «Grotta del Pater», ma, attraverso la condivisione dei
nostri beni, diventare più veri e più uniti tra di noi, essere di più un
cuore sole e un’anima sola:
«La moltitudine di coloro che eran
venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua
proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con
grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del
Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra
loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano,
portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi
degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At
4,32-35).
Ma cosa dobbiamo fare? Innanzitutto offrire a Gesù noi
stessi, mettendo a sua disposizione tutto ciò che abbiamo «tra le mani»,
perché Lui possa moltiplicarlo, come ha moltiplicato duemila anni fa i cinque
pani d’orzo e i due pesci ricevuti dalle mani di un ragazzo (Gv 6,1-13).
Questa offerta, lo sappiamo,
riguarda tutti, perché tutti abbiamo qualcosa da offrire a Gesù: creatività,
tempo, cultura, denaro, spirito di collaborazione, dinamicità, idee piccole e
grandi, capacità di dialogo, competenze, professionalità, coraggio di
rischiare, spirito di sacrificio, voglia di lavorare, tenacia, umiltà, ecc.
Affinché la comunione tra di noi cresca sempre di più dobbiamo essere «liberi
dentro il cuore» e «liberi nelle mani»:
«Prendi, Signore, e accetta tutta la mia libertà,
la mia memoria, il mio intelletto, la mia volontà, tutto quello che ho e
possiedo. Tu me lo hai dato; a te, Signore, lo ridono. Tutto è tuo: di tutto
disponi secondo la tua piena volontà. Dammi il tuo amore e la tua grazia, e
questo solo mi basta».
Davanti a noi, gesuiti e laici cvx,
abbiamo una sfida: assomigliare di più ad una comunità cristiana formata da
persone che vogliono vivere secondo il Vangelo anche il rapporto con il
denaro, oltre la preghiera e il servizio.
Oppure assomigliare di più ad «un’associazione di volontariato
di ispirazione cristiana», formata da persone che, con un reddito medio-alto,
fanno beneficenza e volontariato con i soldi ricavati da quote associative e
da finanziamenti pubblici, ma che toccano solo marginalmente la propria
ricchezza e i propri beni.
Sappiamo
bene come la ricchezza, con la
dinamica del possesso e dell’accumulo, sia un serio pericolo per un’autentica
vita cristiana. E d’altra parte la
mentalità dominante fa di tutto per imporre alla nostra coscienza la cultura
dell’avere. Crediamo che in questo
momento però, con tutta la delicatezza possibile, occorre cercare la
«verità che ci farà liberi».
Il Vangelo dice
che la mia felicità sta nel distacco interiore e concreto dalla ricchezza:
«Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3), «Beati i poveri» (Lc 6,20).
Dice che se io lascio tutto
per Gesù, avrò il centuplo su questa terra e l’eternità: «Chiunque avrà
lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per
il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in ere-dità la vita eterna»
(Mt 19,29).
Dice che se do, avrò:
«Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà
versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a
voi in cambio» (Lc 6,38).
Dice che sono uno stolto quando voglio accumulare e
conservare tesori per me, invece di arricchire davanti a Dio, perché perderò
non solo quelli, ma soprattutto rischio di perdere la mia anima (l’uomo ricco in Lc 12,20 che costruisce
magazzini più grandi ma la notte stessa il Signore viene a chiedergli la vita)
Dice che c’è «più
gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35).
Dice che non posso
servire due padroni. Anzi che occorre cercare prima di tutto il regno di Dio
e la sua giustizia e tutto il resto il Padre lo darà in aggiunta (Mt
6,24-34).
Dice che devo dare tutto, anche quello che mi sembra poco
e necessario (l’obolo della vedova in Mc
12,41-44).
Dice che «Dio ama chi
dona con gioia» (2Cor 9,7).
Ma quale
criterio utilizzare per poter ordinare la nostra economia secondo il Vangelo?
Ignazio di Loyola ci viene
in aiuto con due passi degli Esercizi
spirituali: «Per emendare e riformare la propria vita e stato di vita» (n.
189) e le «Regole sulle elemosine» (nn. 337-344).
Il primo dice:
«C’è da avvertire coloro che sono costituiti in una
dignità ecclesiastica o nel matrimonio (sia che abbiano molti beni terreni,
sia che non ne abbiano) che se non hanno la possibilità o la molto pronta
volontà di fare elezione delle cose soggette ad elezione mutabile, giova
molto, invece di fare elezione, presentare la forma e il modo di emendare e
riformare la propria vita e stato di vita proprio di ciascuno, cioè
indirizzando la propria esistenza, vita e stato di vita alla gloria e lode di
Dio nostro Signore e alla salvezza della propria anima. Per raggiungere e
conseguire questo fine, deve considerare e riflettere, attraverso gli
esercizi e i modi di fare elezione già spiegati [175-188], quale genere di
casa e di servitù deve avere, come la deve dirigere e governare, come la deve
educare con la parola e con l’esempio; così anche riguardo ai suoi averi,
quanto deve destinare per la sua servitù e la casa e quanto deve essere
distribuito ai poveri o in altre opere pie, senza volere o cercare cosa
alcuna che non sia in tutto e per tutto la maggior lode e gloria di Dio
nostro Signore. Perché ciascuno pensi che tanto si aiuterà in tutte le cose
spirituali, quanto si libererà dall’amore di sé, dalla propria volontà e dal
proprio interesse».
Del secondo testo, invece, sottolineiamo la settima regola
(n. 344):
«Settima regola. Per le ragioni già esposte e per molte
altre, in quello che riguarda la propria persona e l'andamento della casa, è sempre
meglio e più sicuro ridurre e diminuire più che si può, e avvicinarsi il più
possibile al nostro supremo pontefice, nostro modello e nostra regola, che è
Cristo nostro Signore. Conforme a questo principio, il terzo concilio di
Cartagine (a cui prese parte sant'Agostino) stabilisce e ordina che la
suppellettile del vescovo sia semplice e povera. La stessa considerazione si
deve fare per tutti i modi di vita, cercando di adattarla alla condizione e
allo stato delle persone. Così, per il matrimonio, abbiamo l'esempio di san
Gioacchino e di sant'Anna, che, dividendo i loro beni in tre parti, davano la
prima ai poveri, destinavano la seconda al ministero e al servizio del
tempio, e conservavano la terza per il sostentamento proprio e della loro
famiglia».
Agli esercitanti di qualunque stato di vita, religiosi/e e
sacerdoti compresi, Ignazio suggerisce in questi testi un criterio per
indirizzare «la propria esistenza, vita e stato di vita alla gloria e lode di
Dio nostro Signore e alla salvezza della propria anima»: dividere in tre
parti i beni.
Come si può notare, nel primo testo il criterio della
ripartizione è suggerito alla persona singola. Nel secondo, lo stesso
criterio, in modo ancora più chiaro, viene proposto alla famiglia.
Se quindi questo criterio vale per l’economia di una
persona e di una famiglia, può valere anche per quella di una comunità e di
un’opera apostolica.
Chiara Lubich, fondatrice e
presidente del Movimento dei Focolari, nella lezione tenuta in occasione del
conferimento della laurea h.c. in Economia (Università Cattolica di Piacenza,
29 gennaio 1999), racconta come è nata l’idea dell’Economia di comunione:
«Tipica del nostro Movimento è la cosiddetta “economia di
comunione” nella libertà, una particolare esperienza di economia solidale
[...] E’
nata in Brasile nel 1991. Il Movimento, presente in quella nazione sin dal
1958, si era diffuso in ogni suo stato, attraendo persone di tutte le
categorie sociali. Da qualche anno però, nonostante la comunione dei beni, mi
ero resa conto che - data la crescita del Movimento (in Brasile siamo circa
250.000 persone) - non si riusciva a coprire neanche i più urgenti bisogni di
certi nostri membri. Mi era sembrato, allora, che Dio chiamasse il nostro
Movimento a qualcosa di più e di nuovo.
Pur non essendo esperta in problemi economici, ho pensato
che si potevano far nascere
fra i nostri delle aziende, in modo da impegnare le capacità e le risorse di
tutti per produrre insieme ricchezza a favore di chi si trovava in necessità.
La loro gestione doveva essere affidata a persone competenti,
in grado di farle funzionare efficacemente e ricavarne degli utili. Questi
dovevano essere liberamente messi in comune.
E cioè in parte essere usati per gli stessi scopi della
prima comunità cristiana:
aiutare i poveri e dar loro da vivere, finché abbiano trovato
un posto di lavoro. un’altra parte per sviluppare strutture di formazione per “uomini
nuovi” (come li chiama l’apostolo Paolo), cioè persone
formate e animate dall’amore, atte a quella che chiamiamo la “cultura del dare”. Un’ultima parte, certo, per incrementare l’azienda [...]
L’idea è stata accolta con entusiasmo non solo in Brasile
e nell’America Latina, ma in Europa e in altre parti del mondo. Molte aziende sono nate, e molte già esistenti
hanno aderito al progetto modificando il proprio stile di gestione aziendale.
A questo progetto oggi aderiscono circa 654 aziende e 91
attività produttive minori. Esso coinvolge imprese operanti nei diversi
settori economici, in più di trenta paesi: 164 operano nel commercio, 189
sono imprese industriali e 301 operano in altri servizi».
Come abbiamo ascoltato, non solo nel passato della Chiesa,
ma anche oggi lo Spirito Santo stimola i cristiani a cercare delle vie
concrete per attualizzare l’ideale della prima comunità cristiana, non
soltanto a livello personale e di una piccola comunità come la nostra, cioè a
livello di microeconomia, ma anche a livello aziendale, cioè di
macroeconomia.
Se vogliamo fare la nostra parte per diventare dei
cristiani realizzati che lavorano e faticano per la maggior gloria di Dio e
per seguire «più da vicino» il Signore, occorre cercare nuove vie per mettere
in pratica il Vangelo anche nell’amministrazione economica della nostra vita
personale e comunitaria.
Certamente la gestione economica è un aspetto della nostra
vita personale e professionale, familiare e comunitaria, che richiede
attenzione, prudenza e un serio discernimento. Qui non si tratta di
costringere nessuno. Ognuno di noi farà secondo coscienza, in piena libertà e
responsabilità.
Certo è che il criterio ignaziano per un’economia di
comunione ci aiuta a vivere la cultura del dare tipica del Vangelo in tutte
le dimensioni della nostra vita, dalle più piccole alle più grandi.
Condividere il progetto della «Grotta del Pater» può
significare per la nostra comunità il superamento del concetto di «quota
associativa».
Nella nostra tradizione essa ha certamente rappresentato
un modo concreto per disciplinare e attualizzare l’ideale della comunione di
beni della prima comunità cristiana.
Ora però, come alcuni di noi hanno sperimentato da anni, e
alcuni forse da molto prima, continuare a parlare di «quote» e di come «farle
pagare» è ormai un ragionare che non porta da nessuna parte.
Anzi sembra il sintomo di una mentalità e di una
disposizione del cuore che rende arduo il sostegno di «opere di maggiore
importanza» come è la «Grotta del Pater».
Che cosa fare allora? Tenendo presente le esigenze
economiche della comunità abbiamo
deciso:
a) di
RACCOGLIERE il denaro necessario in una COLLETTA (2Cor 8-9)
- da fare ogni mese al ritiro di comunità durante la messa
- della quale ogni mese si renderà conto
- alla quale tutti (singoli e nuclei familiari, giovani e
adulti) partecipano secondo le proprie possibilità
- alla quale tutti possono aggiungere liberamente quanto
credono
- che possiamo integrare con attività e iniziative frutto
della nostra creatività
b) di
ORDINARE L’economia della
comunità DIVIDENDO IN TRE PARTI IL DENARO raccolto
- una parte per i poveri: il finanziamento delle attività
apostoliche e il sostegno a persone e famiglie povere
- una parte per il ministero e il tempio: il progetto
della “Grotta del Pater”
- una parte per il sostentamento proprio e della propria
famiglia: la partecipazione alle spese della sede e il sostegno alla Cvx italiana.
Il 14 novembre
1999 abbiamo cominciato questa esperienza. La prima colletta è stata di circa
4 milioni. Ora la media mensile è intorno ai 2 milioni. Alcuni poi hanno
iniziato ad applicare il criterio ignaziano per un’economia di comunione
nella gestione del proprio stipendio. Altri hanno sentito il forte desiderio
di liberarsi del superfluo per darlo ai poveri.
Soprattutto abbiamo
sperimentato un salto di qualità della nostra vita comunitaria, una gioia
rinnovata del nostro stare insieme, una nuova forza nel portare avanti i
nostri impegni, un cuore più vicino al cuore di Dio.
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