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Puglisi, un uomo semplice

Ho conosciuto un martire

 

 

 

Pubblicato
in parte su
Città Nuova 9
(10 maggio 2013)
pp. 22-23

 

pdficona

 

 

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Sono arrivato a Palermo nel 1985 a 23 anni. Da Napoli, dove avevo vissuto tra Posillipo, studiando filosofia con i gesuiti, e Acerra, giocando con i bambini terremotati dell’81 che vivevano nei container.

 

Abitavo nella comunità dei gesuiti a circa 500 metri dalla casa di Falcone, di Libero Grassi, di Rocco Chinnici ecc. Poco più in là avevano ucciso Piersanti Mattarella e il generale Dalla Chiesa. Palermo e la sua “via crucis”.

 

Mi fu chiesto di insegnare religione nel “Collegio Gonzaga” (oggi CEI), istituto scolastico di una certa “Palermo bene”. In classe incontravo i figli di poliziotti uccisi dalla mafia, di alti rappresentanti del comune, di avvocati e giudici impegnati nel maxiprocesso e tanti altri ecc. C’erano anche quelli della cosiddetta zona grigia e forse qualche figlio di mafioso...

 

Ma era la “Primavera di Palermo”, l’inizio del maxiprocesso, un tabù che veniva infranto. Fu emozionante, commovente, illuminante, entusiasmante partecipare a quella stagione, esserne formato nella mente e nel cuore.

 

I bambini del Capo, quartiere storico della città, dove andavo con alcuni studenti per il doposcuola organizzato dai gesuiti che abitavano lì, mi insegnarono a “respirare” la città, a interpretarne le parole, i silenzi, gli sguardi. A decidere dopo due anni di lasciare l’insegnamento della religione nella scuola dei gesuiti.

 

Tutto mi spingeva ad aprire bene gli occhi e l’anima su quanto stava accadendo, a ringraziare coloro che sin da allora stavano donando la loro vita per me.

 

E poi ho conosciuto 3P, ovvero, Padre Pino Puglisi. Un sacerdote come tutti gli altri, impegnato in quel periodo come direttore del Centro Diocesano Vocazioni. Ci si ritrovava con religiosi, religiose, laici, giovani e adulti di vari carismi, parrocchie, associazioni. Si preparava insieme, veramente insieme, anche nei dettagli, un incontro mensile di preghiera per giovani.

 

Era un’esperienza di comunione e fraternità vissuta intensamente. I giovani lo sentivano e accorrevano in tanti. Diventò un appuntamento importante per ritrovare le radici della fede e di una coscienza umana che dovevano “prendere posizione”.

 

Non era possibile “stare a guardare” e neppure fare discorsi. Si andava in profondità: leggi il Vangelo, prega, ascolta nel tuo cuore Gesù che ti chiama a una vita felice, giusta, vera, libera. E decidi con Lui come vivere la tua vita: questo era il metodo Puglisi.

 

L’ultima volta che l’ho abbracciato fu a Taormina in un giorno di festa, tra amici.

 

Di lui porto nel cuore la testimonianza, e l’appello, di un uomo semplice che ha vissuto con radicalità la vita del Vangelo. Non c’è bisogno d’altro per individuare la mentalità mafiosa che come un cancro si annida, e si nasconde, in tutti gli ambienti.

 

E dire di no, fino alla fine.

 

 

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