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Di notte, sulla soglia

Natale 2015 e Giubileo della Misericordia

 

 

 

 

 

Pubblicato
su Millestrade,
Diocesi di Albano,
anno 8, n. 77,
dicembre 2015,
pp. 6-7

 

 

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“Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19).

 

Nel silenzio e nella notte guardo Gesù, Giuseppe, i pastori. Ricordo le parole ascoltate, i gesti compiuti, le circostanze che ci hanno condotti in questa grotta, le scelte fatte insieme con Giuseppe. Che senso ha questa alternanza di luce e buio, consolazioni e desolazioni, gioie e dolori?

 

Gabriele mi aveva annunciato che sarei diventata madre del figlio di Dio. Eppure quanto dolore, quanta sospensione nell’attesa che Giuseppe, il mio promesso sposo, maturasse con l’aiuto dello Spirito la decisione di prendermi come sua sposa. Avevo pregato per lui, ma nulla era scontato.

 

Elisabetta, spinta da Giovanni nel suo grembo, aveva riconosciuto in me la “madre del mio Signore” e lo Spirito mi aveva inondato il cuore tanto da contemplare il mio posto nel disegno di Dio.

 

Che bello il matrimonio con Giuseppe e il mettere su casa con lui, cominciare a vivere insieme, condividere spazi e tempi, la preghiera, prenderci cura l’uno dell’altra. Non sempre facile, siamo così diversi, ma ogni volta un’occasione per amarci di più.

 

I pastori ci riportano le parole dell’angelo: ha detto che Gesù è “gioia per tutto il popolo”. Eppure quanta fatica e quanta incertezza nel viaggio verso Betlemme, la delusione di non trovare posto, l’amarezza di far nascere nostro figlio in questa grotta, vedere lo sconforto di Giuseppe nel sentirsi abbandonato dalla sua gente, dare alla luce Gesù, il messia, il salvatore, l’atteso, qui, senza che nessuno sappia niente.

 

C’è qualcosa che non torna. C’è una contraddizione tra ciò che dicono questi pastori e la realtà delle cose. Quale gioia? E dove sta tutto il popolo?

 

Sì, sono felice che Gesù sia nato e che stia bene. Giuseppe ha gli occhi che brillano. Ma perché è avvenuto tutto in questo modo? Cosa sta dicendo Dio? Non capisco. Nel mio cuore, però, sono sicura di Lui. Dio sa. E quando vorrà mi spiegherà ogni cosa.

 

E poi, la domanda più grande: Gesù è mio figlio, ma è anche figlio di Dio. È Dio Altissimo e mi assomiglia come nessun’altro. Giuseppe appena l’ha visto me l’ha detto subito: ti assomiglia. Osservando di nuovo Gesù con attenzione sono rimasta senza parole. Poi ho alzato gli occhi verso Giuseppe e l’ho guardato con infinita tenerezza, con il sorriso più bello. Com’è possibile? È carne della mia carne, ma è Dio! Cosa posso dirgli? Gesù, figlio mio, Dio mio? Forse no. Basterà una parola sola: Gesù. Con un nome solo chiamo mio figlio e il mio Dio. Dio si è fatto mio figlio e mi ha fatto sua madre.

 

Non riesco a parlarne con Giuseppe ora. Lo guardo e lui mi guarda come solo lui sa fare. Capisce che sto riflettendo e mi rimane accanto in attesa. So che anche lui medita nel suo cuore quello che viviamo. Ci sarà tempo per parlarne. So che anche lui si fida di Dio.

 

Mi sento come sulla soglia di una porta. Dopo un lungo viaggio, sono arrivata a questo momento tanto atteso, ma sono sorpresa. La porta è aperta e aldilà tutto è pronto per me. Però sto ferma nell’attimo prima di entrare. Avverto tutta la tensione racchiusa in quell’ultimo passo carico di eternità, dentro l’eco di una voce: vieni, entra, ti aspettavo.

 

Sulla soglia sento emergere i desideri più belli e le paure più profonde. E se non è qua? E se non nasce? E se qualcosa va male? Come il mio corpo, quando stavo per dare alla luce Gesù. Quella forza che mi spinge a varcare la soglia della paura, che spinge la vita a uscire fuori da dove nasce? Non lo so se è così, ma credo che la spinta nasca da quella vita che ho sentito dentro per nove mesi pur non vedendola e non conoscendola nelle sue forme e nei suoi colori.

 

E sulla soglia resto in attesa di questa spinta della vita che è in me e non mi appartiene, che è in me e che vuole nascere e chiede solo di essere accompagnata a uscire fuori, di venire alla luce, come l’evento più naturale della creazione, come l’amore.

 

Mentre guardo Gesù e Giuseppe mi sento uno spazio aperto dove l’Amore è passato senza fermarsi, è entrato ed è uscito come ha voluto, quando ha voluto, fin dove ha voluto. Non ci sono limiti, non ci sono barriere, non ci sono passaggi obbligati. L’Amore sta facendo la sua strada con noi e noi possiamo solo essere suoi in quell’istante, in quell’abbraccio, in quel tempo che resta in eterno.

 

Non lo avevo mai sentito così. E le parole non lo sanno più dire, perché ormai sono diventate questa carne, questo figlio mio.

 

 

 

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