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Parrocchia di
Arangea (RC)
26.03.2003
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La Chiesa è
chiamata
ad essere «testimone dell’amore»
Che cos’è la comunione?
Esercitarsi
nell’amore
per essere «testimoni dell’amore»
la
Chiesa è
chiamata ad essere «testimone dell’amore»
Che cosa ha detto
lo Spirito Santo alla Chiesa
di oggi attraverso il Papa? Che la
Chiesa è chiamata ad essere «testimone dell’amore».
Novo millennio
ineunte, 42: «Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv
13,35). Se abbiamo veramente contemplato il volto di Cristo, carissimi
Fratelli e Sorelle, la nostra programmazione pastorale non potrà non
ispirarsi al «comandamento nuovo» che egli ci ha dato: «Come io vi ho amato,
così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). È l'altro grande ambito
in cui occorrerà esprimere un deciso impegno programmatico, a livello di
Chiesa universale e di Chiese particolari: quello della comunione (koinonìa)
che incarna e manifesta l'essenza stessa del mistero della Chiesa».
Di quale «amore» dobbiamo essere
testimoni?
Non di un amore «qualsiasi», scelto tra i tanti offerti
dalla mentalità del mondo, e neppure di un sentimento «generico» di
benevolenza o fraternità.
L’amore che siamo chiamati a testimoniare è l’amore con il
quale Gesù ci ha amati, vissuto l’uno per l’altro, cioè reciprocamente: io
amo te come Gesù ha amato me e te e tu ami me come Gesù ha amato te e me.
1. L’amore di Gesù è universale. Gesù ha amato tutti…
2. L’amore di Gesù è totalitario. Gesù ha dato la vita per
tutti considerandoci suoi amici: «Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici» (Gv 15,12).
Dare la vita: ecco la chiave di lettura di ogni altro
amore che lega gli uomini tra loro… Non c’è amore più grande, perché questo
«tipo» di amore è il vertice dell’amore a cui tutti gli altri tendono. E
nello stesso tempo è un amore che tutti riassume e contiene, come in un
vortice unico, un amore di cui tutti gli altri sono riflesso, manifestazione,
simbolo, segno… sacramento.
3. L’amore di Gesù tende alla reciprocità: «Voi siete miei
amici, se farete quello che io vi comando. Non vi chiamo più servi… ma vi ho
chiamati amici» (Mt 15,13). Gesù vuole essere mio amico, quindi vuole che io
dia la vita per lui come lui l’ha data per me.
Però Gesù vuole essere amato anche nel fratello, infatti
dice: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli (cioè amici), se
avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Perché Gesù fa dell’amore un «comandamento»,
invece di lasciarci liberi di amare come vogliamo?
Se l’amore diventa un comando, sembra che io devo amare «per
forza», e questo non mi sembra più amore, ma dovere, e non mi piace.
Se guardo in verità il mio cuore devo riconoscere che
l’amore che sperimento in me non mi porta sempre e comunque a fare il bene, a
cercare il bene dell’altro. A volte sento in me la spinta ad amare me stesso,
a cercare il mio interesse, ad essere egoista. E qualche volta assecondo
questa spinta e mi ritrovo chiuso in me stesso o addirittura nel peccato.
Gesù allora fa dell’amore un «comando», perché io mi renda
conto del mio egoismo e, mettendo in pratica quel comando, posso trovare la
mia vera felicità.
L’amore di cui parla Gesù infatti non è l’eros, cioè la
forza vitale che mi spinge a cercare senza limiti la mia realizzazione, che
continuamente cerca di rivolgere il mio sguardo verso me stesso, non è un
sentimento umano, o un sentimento generico di benevolenza, non è un
«prodotto» commerciabile o ri-producibile dall’uomo.
L’amore di cui parla Gesù è la carità, Dio in me, la forza
vitale, l’Infinito che mi viene incontro e mi ama e con la sua parola, con il
suo comando, mi chiama «fuori» dal mio egoismo e offre al «mio amore» (eros e
sentimento) la reale possibilità di trovare quella pienezza di felicità che
da me stesso cerco continuamente di procurare e non trovo.
Gesù, quindi, facendo del suo amore un «comando», mi aiuta
a discernere nel mio cuore il vero amore da quello falso. Gesù non vuole
impedire o limitare la mia ricerca di felicità, ma vuole aiutarmi a trovarla
davvero, dicendomi che la mia felicità non sta nell’egoismo, nell’avere, ma
nel dono di me all’altro, cioè nel dare.
Per essere quindi «testimoni dell’amore» di Gesù bisogna che il «nostro amore» abbia lo
stesso orizzonte di Gesù (amare tutti), la stessa misura (dare la vita) e lo
stesso obiettivo (la reciprocità).
Per essere «testimoni dell’amore» bisogna che in ogni
nostro atto d’amore mettiamo la stessa «intenzione d’amore» di Gesù.
È vivendo questo «tipo» di amore che noi diventiamo
discepoli di Gesù e incarniamo e manifestiamo il mistero stesso della Chiesa,
cioè la comunione.
Novo millennio inuente, 42: «La comunione è il frutto e la
manifestazione di quell'amore che, sgorgando dal cuore dell'eterno Padre, si riversa
in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (cfr Rm 5,5), per fare di tutti
noi “un cuore solo e un'anima sola” (At 4,32). È realizzando questa comunione
di amore che la Chiesa
si manifesta come “sacramento”, ossia “segno e strumento dell'intima unione
con Dio e dell'unità di tutto il genere umano” [LG 1]. Le parole del Signore,
a questo proposito, sono troppo precise per poterne ridurre la portata. Tante
cose, anche nel nuovo secolo, saranno necessarie per il cammino storico della
Chiesa; ma se mancherà la carità (agape), tutto sarà inutile. È lo stesso apostolo
Paolo a ricordarcelo nell'inno alla carità: se anche parlassimo le lingue
degli uomini e degli angeli, e avessimo una fede “da trasportare le
montagne”, ma poi mancassimo della carità, tutto sarebbe “nulla” (cfr 1Cor
13,2)».
Rom 5,5 «La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio
è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è
stato dato».
Gv 17,20-23 «Non prego solo per questi, ma anche per
quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola
cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi IN NOI una cosa
sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai
dato a me, io l'ho data a loro, perché siano COME NOI una cosa sola. Io in
loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi
hai mandato e li hai amati come hai amato me».
1Cor 13,2 «E se avessi il dono della profezia e conoscessi
tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così
da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla».
La comunione, l'unità è un dono che viene dall’alto, un
dono di Dio, una grazia che Gesù ha chiesto al Padre. E, se è una grazia, non
la possiamo procurare con i nostri sforzi.
È la
Trinità che prende l’iniziativa e, partecipandoci il suo
stesso Spirito, il suo stesso amore, il suo stesso principio di vita, ci
accoglie «in Sé» e unendoci «a Sé» ci fa «come Sé» una cosa sola.
Accogliendo questo dono e vivendo il comandamento nuovo
tutti noi diventiamo «sacramento di unità», cioè diciamo all’umanità con la
nostra esistenza, prima che con le opere, chi essa è: famiglia di Dio.
Se la comunione, l’unità
è un dono di Dio, la nostra parte è quella di metterci nelle condizioni di poter ricevere questo dono, questa
grazia.
Come? Amandoci a
vicenda come Gesù ci ha amato.
E qui vorrei sottolineare che quel «come» significa: con
la misura dell’abbandono. Gesù, infatti, ha amato così e fino a quel punto.
Non basta, quindi, amarsi in qualche modo, ad esempio con una buona intesa
fra amici, o con benevolenza; occorre quel distacco materiale e spirituale da
ambo le parti, necessario per poter «farsi uno» reciprocamente. Così facendo,
ci si pone nella miglior disposizione per ottenere la grazia dell’unità.
Per vivere questo distacco materiale e spirituale dobbiamo
mettere prima di tutto la mutua e continua carità, come dice Pietro nella sua
Prima lettera: «Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la
carità copre una moltitudine di peccati» (1Pt 4,8).
«Soprattutto» vuol dire che «se mancherà la carità (agape)
tutto è inutile», cioè non vale niente, sarebbe nulla: preghiere, messe, rosari,
meditazioni, programmi pastorali, incontri di gruppo, catechismo,
confessioni, attività di servizio per i poveri… senza la carità non valgono
niente, niente, niente.
Perché? Perché tutte quelle cose sarebbero soltanto
«sacramento di noi stessi», comunicheremmo noi stessi, invece della Trinità
in noi.
Occorre cioè intraprendere quel «cammino spirituale» che
dilati e coltivi gli spazi di comunione giorno per giorno nella vita
quotidiana della Chiesa a tutti i livelli (cfr. NMI 44). Il Papa ci indica
«quattro tappe» di questo cammino spirituale, spiegandoci che cosa significa
la «spiritualità di comunione».
Novo
millennio ineunte, 43: «Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore
portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta
anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della
comunione significa
inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo
mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue
gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei
suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della
comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è
nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello
che lo ha direttamente ricevuto.
Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “i pesi gli
uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che
continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza,
gelosie».
Prendiamo il primo
paragrafo.
Spiritualità della comunione significa innanzitutto
- sguardo del cuore
- portato sul mistero della Trinità che abita in
noi,
- e la cui luce va colta anche sul volto dei
fratelli che ci stanno accanto.
Ct 4,9 «Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu
mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua
collana!».
2Cor 4,18 «Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose
visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle
invisibili sono eterne».
Occhi, cuore, sguardo… Vedere, amare, credere… gioco di
sguardi, gioco di cuori, gioco d’amore… questa è la fede: vedere,
riconoscere, amare l’Amore invisibile che si fa visibile in Gesù…
Gv 14,15-24 «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti.
Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con
voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché
non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di
voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e
il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi
vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in
voi. chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama
sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui. Gli disse
Giuda, non l'Iscariota: Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi
e non al mondo?. Gli rispose Gesù: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e
il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è
mia, ma del Padre che mi ha mandato».
Dio mi ama immensamente… Il mio «piccolo» cuore di uomo è
«capace di contenere» Dio, è dimora di Dio, casa di Dio… Dio è qui «come nel
suo cielo»… il «cielo» è qui dentro di me, perché dove abita Dio lì è il
«cielo»… allora posso raccogliermi in me nel «mio cielo» e trovarvi tutta la Trinità…
Ma Dio ama immensamente anche il fratello che mi sta
accanto… come me anche lui è «capace di contenere Dio»… anche in lui Dio sta
«come nel suo cielo»… allora il «cielo» non sta solo qui dentro di me, sta
anche «fuori» di me nel fratello che mi sta accanto… allora posso
«raccogliermi» anche nel fratello, nel «suo cielo» e trovarvi tutta la Trinità…
«Felice unione, se l’hai provata… Sì, è bene se aderisci a
Dio con tutto te stesso. Ma chi aderisce così perfettamente a Dio? Colui che,
dimorando in Dio perché è amato da Dio, amandolo a sua volta attira Dio in
sé. Dunque, quando l’uomo e Dio sono da ogni parte uniti l’uno all’altro,
poiché il profondo e mutuo amore li fa entrare nell’intimo l’uno dell’altro,
Dio è nell’uomo e l’uomo in Dio» (Bernardo di Chiaravalle, Sermo 71 in Cant. 6,10: PL 183,
1126).
Ma se la
Trinità è presente allo stesso modo in me e nel fratello
«come nel suo cielo», non sarà che anche «in mezzo a noi» la Trinità potrà essere
presente «come nel suo cielo»? Perché questo accadesse occorrerebbe una
«terza» persona nella quale fosse presente la Trinità «come nel suo
cielo» e nella quale io e il fratello potremmo raccoglierci? E quale persona
può stare «in mezzo» tra me il fratello che mi sta accanto? C’è una tale
persona?
Sì. È Gesù. Egli infatti ha detto: «Dove due o tre sono
uniti nel mio nome (cioè sono pronti a dare la vita l’uno per l’altro fino
all’abbandono) io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Sì. È così. Se io e il mio fratello ci amiamo «nel nome di
Gesù», Gesù sarà presente in mezzo a noi e in Lui tutta la Trinità dimorerà in
mezzo a noi… allora io e il fratello potremmo raccoglierci in Gesù e trovare
in mezzo a noi tutta la
Trinità «come nel suo cielo»…
Così i nostri cuori non saranno più due ma «un cuore
solo», le nostre anime non saranno più due ma «un’anima sola»… e saranno il
cuore e l’anima di Gesù, presente in mezzo a noi «come nel suo cielo» che è
il seno del Padre…
Questa è la comunione che manifesta la nostra realtà più
profonda, misteriosa, vera, infinita: figli amati da Dio e da Lui resi capaci
di amarLo con lo stesso Suo amore… uomini che possono amare Dio e unirsi a
Lui con lo stesso amore… uomini fatti «icona della Trinità» sulla terra,
Chiesa, Corpo mistico…
Ma questa lo vedremo la prossima volta…
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