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by Paolo Monaco sj

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Saggi > Itinerari ignaziani in terra veneta (1523-1537)

 

 

5. Primi ministeri dei compagni (1537)

 

Cf. G. Mellinato sj, «Itinerari ignaziani in terra veneta (1523-1537)», Provincia d’Italia S.J., Roma 1991

 

 

 

In terraferma (1537)

 

Vicenza - Ignazio, Pietro Favre e Laynez

 

Bassano

 

Monselice

 

Mappa 1 – Le città venete

 

Mappa 2 - Vicenza

 

 

pdficona

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Primo viaggio di sant’Ignazio a Venezia (1523)

 

2. Secondo viaggio di sant’Ignazio a Venezia (1535)

 

3. Viaggio dei compagni da Parigi a Venezia (1536-1537)

 

4. Ordinazione dei compagni (1537)

 

 

 

 

 

ALTRE PAGINE

 

Itinerari ignaziani a Roma

 

IN TERRAFERMA (1537)

 

I nove compagni già sacerdoti (meno Salmerón, che doveva attendere alcuni mesi per età insufficiente) continuarono anche in luglio il servizio ai malati.

 

Poi, in attesa che si schiarisse l’orizzonte politico fra Venezia e il Turco, per poter passare in Oriente, si recarono frattanto in Terraferma per tre mesi. Avrebbero impiegato tale tempo, prima di tutto dedicandosi una quarantina di giorni alla preparazione alla prima messa; si sarebbero poi esercitati nei primi ministeri sacerdotali. Ma allo scadere dei tre mesi avrebbero dovuto riunirsi per deliberare su quel che convenisse fare. Frattanto si sarebbero divisi in gruppetti di due o tre, scegliendo come luoghi di ritiro quelli che gli amici di Venezia, più pratici delle località e dei loro abitanti, venivano loro suggerendo.

 

Tirarono a sorte quei luoghi: Vicenza toccò a Ignazio, a Pietro Favre e a Laynez; Verona a Broët e a Bobadilla, Treviso a Codure e a Hozes; Bassano a Rodrigues e a Jay; Monselice a Francesco Javier e a Salmerón. Ricordi tangibili di tale permanenza dei primi gesuiti nel Veneto, rimangono ancora solo a Vicenza, Bassano e a Monselice.

 

 

 

Ospedale SS. Giovanni e Paolo

 

 

 

 

 

Casa degli Incurabili

 

 

 

Casa degli Incurabili, interno

 

VICENZA - IGNAZIO, PIETRO FAVRE E LAYNEZ

 

Non molto fuori di Porta S. Croce, in località detta Vivarolo, trovarono un convento dedicato a S. Pietro, che era appartenuto prima agli eremiti fiesolani Gerosolimitani, poi ai Servi di Maria, ma durante la guerra di Cambrai aveva subito gravi danni e giaceva mezzo diroccato e abbandonato.

 

Ignazio aveva ottenuto dai padroni di potervisi ricoverare, e coi compagni l'aveva adattato alla meglio: i locali erano senza infissi e un poco di paglia stesa a terra bastava loro per distendersi e riposare. La giornata dei tre era tutta dedicata alla pietà, eccetto due giri che facevano mattino e sera per l'abitato dei dintorni a chiedere un pezzo di pane in carità, col quale, dopo averlo bollito, si sostenevano.

 

Finiti i quaranta giorni di stretto ritiro, i compagni oltrepassando Porta S. Croce s'inoltravano in città e nelle piazze e nei crocicchi, dove più la gente si affollava, si mettevano a predicare, ma lo facevano in un italiano, che era molto approssimativo. La gente però li stava ad ascoltare egualmente, colpita com'era più dal loro atteggiamento che non dalle parole: e poi faceva loro l’elemosina in abbondanza, tanto che quando al Vivarolo si trovò il gruppo dei compagni al completo, risultò che ce n'era a sufficienza per tutti.

 

Secondo queste indicazioni di Mellinato del 1991 i resti del convento di s. Pietro in Vivarolo sarebbero inclusi nell’area che appartiene all’Istituto Missioni Estere (Saveriani) in viale Trento 139 [o 119]. Probabilmente egli fa riferimento a uno scritto di Angelo Poli, saveriano, pubblicato sulla rivista «Le Missioni illustrate».

 

Su questo sito http://care.huma-num.fr/it/index.php?title=VICENZA,_San_Pietro_in_Vivarolo il convento di San Pietro in Vivarolo viene indicato invece nell’attuale viale Giuseppe Mazzini.

 

Nella «Lettera a Pietro Contarini» dell’agosto 1537 Ignazio racconta qualcosa della sua permanenza a Vicenza:

 

Finora, per grazia di Dio, siamo stati sempre bene in salute. Ogni giorno di più sperimentiamo quella verità: «Gente che non ha nulla e invece possiede tutto!» [2Cor 6,10] intendo, quel «tutto» che il Signore ha promesso come aggiunta a coloro che cercano prima il regno di Dio e la sua giustizia [Mt 6,33].

Potrà forse mancare qualche cosa a quanti cercano unicamente la giustizia del regno e il regno stesso, a quanti ricevono come benedizione non la rugiada del cielo e la pinguedine della terra [Gen 27,28], ma la sola rugiada del cielo? Parlo di coloro che non sono divisi e fissano tutti e due gli occhi ai beni del cielo. Ci conceda questa grazia colui che, essendo ricco di ogni cosa, si spogliò di tutto per darci esempio; egli che, pur vivendo nella gloria di tanta potenza, di tanta sapienza e di tanta bontà, si sottomise tuttavia al potere, al giudizio e alla volontà dell’uomo, che è così insignificante.

Ma basta, specialmente parlando con chi Cristo può anche trattenere in un grado di perfezione diverso. Infatti a lei spetta soprattutto considerare che, se possiede beni temporali, da nessuno di essi deve essere posseduto e che tutto deve riportare a colui dal quale tutto ha ricevuto. Chi, infatti, non può occuparsi tutto nella ricerca dell’«unico necessario», deve almeno far sì che siano bene ordinate le tante cose di cui si preoccupa.

Ma troppo mi sto allontanando da quanto mi ero proposto; torno a noi. Presso Vicenza, a un miglio dalla porta di S. Croce, abbiamo trovato un monastero disabitato, che si chiama S. Pietro in Vairello [= Vivarolo], dove nessuno abita. I frati di S. Maria delle Grazie sono contenti che vi ci fermiamo per il tempo che vogliamo. Ciò che già facciamo, e vi abiteremo per qualche mese, se il Signore lo permetterà. […]

Suo fratello nel Signore, Ignazio.

 

Cercando “i frati di S. Maria delle Grazie” si trova un riferimento (www.pinterest.it/pin/526639750149341393/) che potrebbe indicare il sito del convento di san Pietro in Vivarolo in un’altra parte della città: «dietro il parcheggio dove un tempo sorgeva il teatro Eretenio» (fonte: Silvestro Castellini, «Storia della città di Vicenza», anno 1821).

 

Infine, un articolo di Giovanni Fantola, «Soggiorno di S. Ignazio di Loyola a Vicenza», pubblicato su «Realtà Vicentina» (anno XIV, n.2, febbraio 2003, pp. 28-29), indicherebbe in via dei Cappuccini 28 il sito di san Pietro in Vivarolo.

 

Sembra inoltre che ci sia una targa che ricorda la presenza di sant’Ignazio a Vicenza nella Stradella dei Cappuccini.

 

Quale sarà il posto giusto?

 

 

 

Porta Santa Croce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Porta Santa Croce

 

 

Madonna di Monte Berico

 

BASSANO 1537

 

Ignazio “il pellegrino” diversamente da come accadde a Parigi, nel periodo in cui rimase a Vicenza ebbe molte visioni spirituali e frequenti, anzi quasi continue consolazioni. Soprattutto quando si preparava a prendere il sacerdozio, a Venezia e poi mentre si preparava a celebrare la messa, e durante tutti quei viaggi, ebbe molte comunicazioni soprannaturali simili a quelle che riceveva quando era a Manresa. Mentre era ancora a Vicenza venne a sapere che uno dei compagni (Simone Rodrigues), che si trovava a Bassano, era ammalato e in punto di morte. Anche lui in quel periodo aveva la febbre; tuttavia si mise in viaggio; e camminando così svelto che Favre, suo compagno, non riusciva a tenergli dietro. Durante il viaggio ebbe la certezza da parte di Dio - e lo disse a Favre – che il loro compagno non sarebbe morto di quella malattia. Al suo arrivo l’infermo si sentì molto confortato e guarì rapidamente («Autobiografia» n. 95).

 

 

 

Bassano, Parrocchia di San Vito

 

 

Romitorio del beato Antonio con affreschi
della visita di sant’Ignazio

 

 

La visita di sant’Ignazio

 

 

 

 

Ignazio e frate Antonio

 

 

 

 

 

Preghiera alla Madonna

 

 

Ignazio

 

MONSELICE 1537

 

Francesco Javier e Alfonso Salmerón si ritirarono a Monselice, nella grotta solitaria, che i Balbi, famiglia veneziana conosciuta in città, aveva loro indicato e probabilmente offerto, quale rifugio povero e di penitenza: essi erano i proprietari del castello che domina Monselice e della irta collina su cui quello si eleva, con ai piedi la grotta.

 

Questa era un ridotto, una specie di spelonca, che si apriva proprio di fronte all'antica cappella meridionale del castello inferiore, dedicata a S. Giorgio come il castello stesso, e posta un po’ più in alto e fuori della mura esterna, che circondava la cittadina. Tale rifugio era situato dietro l'antico duomo di S. Giustina e non molto discosto da esso, ma pare che i due oranti per ricevere i sacramenti ricorressero ogni giorno alla chiesa di S. Paolo, un poco più lontana. Correva voce poi che in quell'abituro avesse soggiornato anche san Francesco d'Assisi, in un suo passaggio per Monselice, e in una certa epoca vi si poté pure guadagnare l’indulgenza della Porziuncola.

 

I due compagni andavano mendicando in città il loro poco cibo di ogni giorno e tutto il resto del tempo lo passavano nel ritiro a pregare. Quando poi finirono i quaranta giorni di preghiera stabiliti, Francesco, com'era allora un costume, si diede a predicare lungo le strade e le piazze, mentre Alfonso, non ancora sacerdote, dovette attendere un altro po' di tempo per ricevere dal nunzio pontificio il permesso di farlo. A proposito di tale predicazione è interessante sapere come la voce popolare si tramandasse che san Francesco per essa “non chiedeva mai nulla” (Mazzaroli).

 

 

 

Villa Duodo

 

 

 

 

Santuario delle sette chiesette

 

Esedra di san Francesco Saverio

 

 

Edicola con una statua
di san Francesco Saverio

 

 

 

 

 

Chiesa di santa Giustina

 

Chiesa di santa Giustina, interno

MAPPA 1 – LE CITTÀ VENETE

 

 

 

 

 

 

 

 

MAPPA 2 - VICENZA

 

 

 

 

 

 

 

 

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